lunedì 7 luglio 2025

Interview with Alessandro Miotti


Alessandro Miotti, classe 1991, vive e lavora nell'entroterra veneziano da cui trae spirazione per la sua ricerca pittorica che prende forma attraverso un immaginario fatto di memoria, tensione e introspezione.La pittura diventa uno spazio emotivo, dove cani, paesaggi e desideri si fondono in una narrazione personale e viscerale. Di seguito l'intervista con Alessandro.


Chi è Alessandro Miotti e qual è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Io e i miei amici eravamo più di periferia che di campagna, figli di un territorio funzionalizzato. Siamo cresciuti con i racconti dei nostri genitori, che parlavano di terre più selvagge e dei nonni sopravvissuti alla guerra. Abbiamo condiviso lo stesso fiume che li ha visti crescere, ma, al contrario di loro, noi eravamo immersi in un paesaggio fatto di industria e campi di grano turco. Mi sono sempre sentito un "ragazzo di campagna", anche se in realtà, la generazione del mio paese – o almeno io – vivevamo con l’illusione di crescere in una zona rurale. Questo è lo scenario in cui sono cresciuto: tra giri al fiume, colline all’orizzonte, serate a cavalcare su mandrie di cinquantini (scooter) e il campo dei miei. Il mio percorso artistico, in fondo, nasce proprio da lì: da una forma di autoanalisi sull’illusione e l’incoscienza. Nel contesto accademico, ho fatto un lungo percorso di sperimentazione; ho lavorato molto sulla poetica e sulla comprensione del mio processo artistico. Dipingere mi ha aiutato a riconoscermi, ad accettare la mia storia, i miei luoghi, e a mettermi in dialogo con ciò che mi turba del passato, del presente e del futuro. Un ruolo fondamentale l’hanno avuto mia madre – che mi ha suggerito di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Venezia – il Prof. Carlo Di Raco, gli amici con cui ho iniziato questo percorso, e la mia determinazione nel volermi affermare nel panorama artistico.

La tua ricerca è basata sull’imprevedibilità e sulla spontaneità, caratteristiche importanti. Come le bilanci?
Diciamo che c’è una base di imprevedibilità, in alcuni momenti ben definiti. All’inizio di una nuova tela prevedo quale sarà il soggetto e come si svilupperà, ne conosco almeno i ruoli iniziali. Forse la parte casuale riguarda ciò che voglio mettere in evidenza nella struttura iniziale, fatta di segni e piccoli vuoti, dall’interazione di parti più fluide e altre molto più strutturate, a volte legate all’errore. La spontaneità dipende dal mio rapporto con la pittura: è viscerale. La vivo con contrasti emotivi molto intensi e con disciplina. Ho un approccio costante e riflessivo, come un gioco bipolare tra due energie opposte – una più passionale, l’altra più distruttiva – che si sovrappongono e si alternano nel lavoro, annientando l’una parte dell’altra.

Nel tuo lavoro la presenza dei cani ha un ruolo simbolico e ricorrente. Che significato hanno e quale legame hanno con te?
Il cane è per me un soggetto estremamente familiare. A volte sento quasi il bisogno di dichiarare apertamente quanto io sia coinvolto da questa figura – o forse di confessare una vera e propria ossessione. Il cane mi è vicino perché incarna alcune delle mie fantasie più profonde e perché il rapporto che instaura con lo spettatore è immediato: evoca un desiderio di possesso, di contatto, di riconoscimento. Spesso li ritraggo in torsioni o in momenti di tensione fisica che esprimono comportamenti elementari ed istintivi — la rabbia, la fame, il desiderio sessuale, la frustrazione. In queste rappresentazioni, la relazione tra i soggetti emerge, a volte, attraverso giochi di specularità e contrasti: come un ossimoro visivo che mette in luce le ambiguità del legame. Attraverso questi ritratti indago la mia vita intima, il rapporto con l’altro e le fragilità che abitano l’amore — in tutte le sue forme. Lo “sguardo in camera”, che utilizzo spesso, è un modo per costruire un ponte emotivo tra l’animale e lo spettatore, una forma di coinvolgimento diretto che interroga chi guarda, come se chiedesse: e tu, dove ti riconosci in questo sguardo?

Divenir – Intenso (2024) mi ha colpito per la sua leggerezza e forma. Come nasce questo lavoro e da dove hai tratto ispirazione?
La percezione del primo quadro che ho realizzato, This Old Dog (2023), è stata davvero forte per me e per la mia pratica artistica. Ho avuto modo di confrontarmi con molte persone che mi parlavano dell’intensità di quel dipinto e di quanto sembrasse un autoritratto, o qualcosa che possedesse la mia stessa anima, o quel medesimo connotato di presenza. Lo racconto perché è stato un passo necessario, uno dopo l’altro, per avere maggiore chiarezza sull’aspetto narrativo che volevo affrontare. Divenir – Intenso per me rappresenta un’importante sperimentazione, in cui, partendo dall’idea di attribuire gli stessi connotati e la stessa forza espressiva di una persona a me cara – Giulia – trasformo in vivo qualcosa che nella realtà non esiste, aderendo a una mia personale trascrizione della realtà.











Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...