
Francesca Mussi, classe 1992, è artista visita che lavora e vive a Milano. La sua ricerca si avvale di differenti media espressivi, dal libro d'artista all'installazione, fino alla performance. Fra i suoi ultimi lavori la performance Never Seen Performance #2 di cui Francesca parla nell'intervista che trovate di seguito.
Chi è Francesca Mussi e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?Sono Francesca Mussi, una giovane artista visiva basata a Milano. Ho sempre avuto la passione per il disegno, che praticavo fin da piccola in maniera incessante. Poi ho consolidato la mia passione per l’arte con i miei studi, che tra Milano e Leeds (UK) mi hanno portato a specializzarmi nelle tecniche di stampa d’arte. Prima quelle tradizionali, e poi sperimentali. Ho usato per diversi anni l’incisione su carta mentre recentemente utilizzo installazione e tecniche diverse, che mi permettono a seconda del contesto di usare modalità e approcci sempre in evoluzione.
La tua ricerca spazia fra differenti tecniche e media espressivi, i tuoi lavori sono caratterizzati da un’interazione, spesso, con il luogo dove l'opera verrà collocata. Mi parli di questo tuo processo? come nasce questa relazione?
Molto spesso è dal mio stupore davanti a un posto specifico che nasce l’idea. Mi interessa infatti
che il luogo da cui parte l’ispirazione sia anche il luogo espositivo. Da questa attrazione iniziale decido poi quali tecniche e media espressivi sono i più adatti e esprimono al meglio il gioco di ampliamento dei punti di vista che l’opera esercita nel contesto a chi la fruisce. E' inevitabile pensare al momento attuale in cui la pandemia ha rimarcato una distanza dai luoghi di fruizione dell’arte, siamo tutti un po' costretti ad assistere a un’opera tramite lo schermo indipendentemente da dove stiamo fisicamente, quindi il site-specific può perdere centralità, ma per quanto mi riguarda questa condizione non ha fatto altro che rafforzare la consapevolezza che ha per me la creazione materiale in un posto fisico. Al momento per esempio sto lavorando alla mia prossima mostra personale costruita attorno alle caratteristiche di Spazio Infernotto, uno project space sotterraneo a Torino. Anche qui l’idea è nata principalmente dal mio interesse per il posto.
Ho avuto esperienze in passato in cui lavorare site-specific è stato l’iter lavorativo guida. Nella mostra “Deriva” (2019) alla Basilica di San Celso a Milano ogni lavoro era nato da una lunga esperienza di permanenza in quel luogo assieme all’artista John Mirabel. Lì lo stupore dinnanzi ai volumi del soffitto, i resti delle decorazioni antiche esterne e la forte connotazione storica dell’edificio ci avevano appassionato e spinto a una ricerca profondamente aderente e coerente con lo spazio. Inoltre utilizzo spesso interventi di infiltrazione negli spazi. Al museo MAIO di Cassina de’ Pecchi avevo usato l’ascensore per installare “An Errant Idea”, un asciugamano serigrafato sotto una fotografia a parete, che avevo scattato nelle stanze private del palazzo di Carpegna nel quale molte opere d’arte erano state custodite durante l’occupazione fascista per sfuggire ai saccheggiamenti dei soldati tedeschi. Siccome l’intero museo in cui esponevo era dedicato in buona parte a questo mitico posto sono andata a rendere visita alle stanze del palazzo, come alla ricerca di una qualche traccia o risposta. Nell’ascensore mi ero lasciata guidare dall’idea di fugacità e di permanenza che univa nello stesso tempo luoghi diversi, l’ascensore era diventato infatti una sorta di cabina spazio-temporale in cui chi entrava assisteva in pochi minuti alla presenza di una assenza, una scritta sull’asciugamano che descrive una transizione.