mercoledì 25 agosto 2021

Interview with Giovanna Silva

Giovanna Silva, classe 1980, è fotografa ed editore di Humboldt Books che vive e lavora a Milano. Nel suo percorso ha lavorato per Domus e Abitare come fotografa; ha pubblicato numerosi libri legati al medio oriente e al viaggio in questi luoghi attraverso i suoi scatti, tra cui Orantes, Narratives/Relazioni: Baghdad, Green Zone, Red Zone, Babylon e Libya, House by House, Inch by Inch, Alley by Alley. Narratives / Relazioni è la sua personale presso la Bevilaqua La Masa a Venezia che raccoglie una serie di storie recenti attraverso la fotografia di architettura. Di seguito l'intervista con Giovanna. 

Chi è Giovanna Silva e qual'è il percoorso che ti ha portato a diventare fotografa?
Chi sia Giovanna silva è difficile a dirsi, ci sono troppe personalità coinvolte, la fotografa, l'editrice, la sportiva, l'amante degli animali. Ho studiato architettura perché credevo l'architettura mi avrebbe portato a viaggiare. Quando ho capito che mi avrebbe portato invece davanti ad un computer ho provato a lavorare con la fotografia d'architettura, un pò per caso, lo ammetto - sono una grande sostenitrice del caso come grande motore delle nostre vite. Ho iniziato a lavorare per Domus, e ci sono rimasta per 4 anni e poi Abitare. La mia grande passione, oltre al viaggio, sono i libri, mi sono sempre mossa in un contesto editoriale con la fotografia, e così, a 30 anni circa, ho fondato Humboldt Books per coronare definitivamente l'unione delle mie passioni.

Nel tuo percorso l'editoria ha un ruolo importante. Come ti relazione con questo ambito?
Per me i libri sono il punto di partenza e d'arrivo. Compro i libri per le mie ricerche, produco libri a seguito dei miei viaggi, aiuto altri fotografi, artisti, a produrre i propri libri. E' un amore per l'editoria generalizzato, la capacità dei libri di narrare, che sia attraverso un racconto o delle fotografie, è l'oggetto del mio interesse e del mio lavoro.

Archivi Synthesis è tra i tuoi ultimi progetti, in cosa consiste questo lavoro?
Nel 2020 Luca Lo Pinto mi ha commissionato un lavoro per il suo nuovo Macro, a Roma. Mi ha chiesto di fotografarne l'Archivio. Ho poi partecipato, sull'onda di questa commissione, ad un bando Mibact 'Cantica' e ho proposto un lavoro sugli Archivi in Italia. Non mi interessava tanto il contenuto dell'archivio quanto l'archivio in sé in quanto luogo. Ho quindi fotografato diversi tipi di archivi in diverse città italiane. Il risultato, neanche a dirlo, è un libro in copia unica, che racchiude una selezione di più di 100 immagini. Nonostante questo primo capitolo si sia concluso ho intenzione di continuare, ho visitato luoghi incredibili che raccolgono storie straordinarie.

Roma, Never Walk on Crowded Streets è il tuoi ultimo libro, come nasce e cosa caratterizza la ricerca? 
All'inizio del 2020 mi sono trasferita a Roma per una residenza all'American Academy. Non conoscevo la città, o meglio, l'avevo sempre vissuta come turista. Sopraffatta  dalle sue dimensioni avevo maturato un rapporto conflittuale con Roma, non solo in quanto facente parte del contesto antitetico, quello milanese, che viene sempre contrapposto nel binomio Nord-Sud. La semplice verità era che non conoscevo Roma. Ho iniziato a percorrerla a piedi, ogni giorno aggiungendo un chilometro, fino a dei momenti quasi performativi che hanno toccato i 30 km al giorno. Poi sono dovuta tornare a Milano per il primo lockdown, e a casa leggevo di Roma e sognavo Roma. Appena ne ho avuto la possibilità sono tornata e ho ricominciato dove mi ero fermata. Il libro è una memoria fotografica di tutte queste mie camminate, una selezione di 600 foto che spero comunichino l'amore per questa città. Il titolo poi viene da un racconto di Savinio, anche lui come me si trovava a camminare per una città non sua e rimanerne affascinato. Savinio cita Pitagora, che consiglia, in caso di peste, di non camminare mai in strade affollate. Il libro è diviso in un primo periodo ante lockdown e un secondo post, in entrambi i casi le figure umane sono rare, e quando intervengono lo fanno per sottolineare la grandiosità della città di Roma.

Narratives / Relazioni è la tua persona presso la Bevilaqua La Masa, mi racconti che progetti sono presenti in mostra?
Nel 2011 ho iniziato a viaggiare per paesi che definirei in guerra, cercando di restituirne la storia recente attraverso una fotografia di architettura. Non sono un reporter e non mi interessa quel genere di fotografia. Per me la fotografia è uno strumento che mi permette di raccontare delle storie, dei frammenti di una storia più grande. Ho viaggiato fra l'Afghanistan, L'Iraq e la Libia. Ma anche più recentemente in Pakistan e nelle Filippine. Tutti questi viaggi sono diventati dei libri per l'editore Mousse Publishing, una piccola collana dal titolo Narratives Relazioni, come i diari dei grandi esploratori di fine 18esimo secolo. Ogni libro è concepito con un formato editoriale diverso che si adatta alla storia che deve raccontare. Quest'anno, in occasione della biennale di Venezia di Architettura ho inaugurato la mia prima mostra personale. Non mi era mai capitato e non credo di averlo desiderato, le mie foto sono sempre state legate ai libri, alla narrazione appunto. Ho fatto uno sforzo per riuscire ad immaginare il mio lavoro nello spazio. E per questo la mostra è articolata anche per periodi e modalità, nella stanza d'ingresso c'è un tavolo, le mie pubblicazioni e alcuni libri e mappamondi dalla mia collezione personale. Poi delle foto, selezionate questa volta non tanto per la loro capacità narrativa ma evocativa nella singola immagine, e nell'ultima stanza uno slideshow di tutto il mio archivio, che dovrebbe riuscire a descrivere anche un pò il mio modus operandi, e quindi la mia personalità. Un'accumulazione compulsiva di immagini, associazioni diverse nel luogo e nel tempo che però il mio sguardo tende ad assimilare. Non voglio dire che tutti i luoghi si assomiglino. Voglio dire che il mio sguardo tende a concentrarsi su alcuni particolari ovunque io mi trovi.

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