lunedì 30 novembre 2020

Interview Ettore Favini

Ettore Favini, 1974, è artista che vive e lavora in Italia a Cremona. I suoi lavori affrontano il tema della difesa dell’ambiente con quello della memoria del paesaggio in cui il suo lavoro si colloca contraddistinti dal tema del tempo. Di seguito l'intervista con Ettore. 

Chi è Ettore Favini e qual'è il tuo percorso che ti ha portato a diventare artista?
Non ho mai capito cosa volesse dire: "essere un artista", ma da che ho memoria l'ho sempre voluto. Ho trascorso i miei pomeriggi dalla scuola elementare, fino all'adolescenza nella Biblioteca di Cremona (mia madre lavorava lì). La possibilità di accedere a quello sconfinato patrimonio librario, per me era l'unico modo per poter conoscere il mondo. Sfogliare libri é stato un modo per sviluppare un immaginario, guardavo le immagini e disegnavo. Il disegno mi ha accompagnato fino all'incontro con Alberto Garutti, in Accademia a Bologna, che senza troppi panegirici, mi suggerì di smettere e di passare ad altro. Alberto fu il primo che mi face capire esattamente cosa volesse dire esattamente la parola "Artista".

La tua ricerca è un dialogo fra le opere e il luogo dove essere trovano collocazione; cosa la caratterizza e come ti rapporti con questi luoghi?
Credo che tutto sia iniziato nel 1997, ero stato invitato a partecipare alla mostra Fuori Uso, nella ex colonia Stellamare, avrei dovuto esporre dei lavori fotografici, tanto che sono stati pubblicati in catalogo, ma una volta entrato in quella stanza tutta piena di sanitari rotti e sporchi e con un atteggiamento quasi archeologico e ossessivo classificai tutti i pezzi. Dopo un lavoro durato una settimana, la stanza era completamente ripulita (pavimento e pareti) i cocci sterilizzati e riposizionati, il risultato per il visitatore era straniante, si trovava di fronte ad una catastrofe ordinata con profumo di candeggina. E' stato un punto di non ritorno, da allora ogni volta che vedo un luogo, non riesco a non pensare ad un collegamento con la storia o con l'ambiente circostante, nel momento in cui opera e luogo dialogano si crea il monumento.

Ho incontrato e scoperto la città di Parma con il tuo progetto Nouvelle Flâneries, mi racconti come nasce e in cosa consiste?
E' stato grazie a Valentina Rossi che mi aveva invitato a pensare a nuovi itinerari all'interno della città, che uscissero dai luoghi più turistici e conosciuti della città. Dopo una settimana trascorsa tra l'Archivio di Stato e la Biblioteca Platina a cercare tra mappe e carte storiche, ho trovato le notizie e i resoconti di viaggio di illustri personaggi che passando da Parma ne scrivevano nei loro taccuini, divenuti poi libri di memorie. In particolare la vicenda di Carlo Goldoni di passaggio da Parma assiste alla Battaglia di San Pietro (29 giugno 1734), nelle sue memorie era indicata la locanda in cui aveva dormito, a quel punto l'ho cercata ripercorrendo a ritroso le vicende del palazzo. Il lavoro che avrei fatto adesso era chiaro: una stratificazione di viaggi nei passati della città. Di ogni personaggio scelto una frase che raccontasse della città nei luoghi che più avevano amato o nei quali avevano soggiornato. Si compone così un viaggio nella città che ci fa tornare in un passato più o meno lontano, che ci descrive lo stato della città in quel momento in luoghi meno noti, che spesso lambiscono i percorsi turistici attraverso l'apposizione di targhe in cemento, ossidi e colla animale usando l'antica tecnica della scagliola, che simula il marmo o le pietre. Il titolo é legato all'atteggiamento tipicamente novecentesco del perdersi nella città, in effetti il progetto invita lo spettatore, pur avendo una mappa, a perdersi per trovare le targhe senza un percorso specifico. Ogni targa poi é stata donata al proprietario del palazzo che custodirà e conserverà l'opera. 

AuRevoir è il tuo progetto che celebra il denim dalla città da cui prende il nome. Qual'è la traiettoria che traccia  il corpo di lavori? 

AuRevoir celebra il bacino acqueo da cui questo tessuto ha avuto origine, mettendo in connessione con temporalità diverse, varie città: Il Cairo, Venezia, Chieri, Genova e Nîmes. La storia di questo tessuto é antica, frammentaria e avvolta nel mito, proprio come la storia del Mediterraneo, ho provato a ricostruirla attraverso l'aiuto di storici, geografi, esperti di diritti. Le opere che ho realizzato per questo progetto nascono da una serie di incontri/racconti, scoperte e ritrovamenti tra il 2018 e l'inizio del 2020, ma il corpo di opere più consistente prende origine dalla cartografia del mare. Le mappe sono fondamentali, anche se documenti falsati dalla politica o dal momento storico, strumenti per la comprensione di ciò che ci circonda. La prima mappa del mondo risale a 2500 anni fa, è una tavoletta babilonese in argilla, rinvenuta vicino alla città di Sippar, con un buco al centro circondato da incisioni di forme geometriche e cerchi concentrici. È la prima rappresentazione del mondo conosciuto che a quel tempo si estendeva solo alcuni chilometri oltre Babilonia. L’autore della Mappa Mundi babilonese di Sippar non voleva rappresentare un territorio ma il mondo, e ha deciso di farlo con una visione dall’alto, in pianta: una visione divina del mondo conosciuto che era al momento l’unico mondo possibile: Sippar. Allo stesso modo, se chiediamo a un bambino di disegnare una mappa, inizierà dalla sua casa – il suo mondo – con gli elementi che la compongono: la sua prima necessità umana di tracciare dei limiti attorno a ciò che conosce. In entrambi i casi non é riconoscibile una mappa in quanto tale, ma una visione molto personale e forse astratta della realtà ecco che così nelle mappe che ho analizzato e su cui mi sono soffermato, ho lavorato astraendo l'oggetto mappa. Nella serie di opere "Mer fermée" le mappe del Mediterraneo si fanno isole, corpi che diventano solidi per galleggiare nel blu del denim, oppure in "Mer de plusieurs noms" si stratificano una sopra all'altra in un ricamo per divenire completamente astratte e mettere in luce la difficoltà di rappresentare questo mare. 

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