domenica 29 marzo 2020

Interview with Jacopo Benassi



Jacopo Benassi, classe 1973, è fotografo italiano i cui scatti sono caratterizzati da un linguaggio diretto e documentativo. Le fotografie di primi piani principalmente in bianco e nero immortalano personaggi famosi e non, autoscatti e oggetti che ruotano attorno all'universo del fotografo  a La Spezia, luogo dove nascono le sue zine e pubblicazioni rigorosamente auto-prodotte. Di seguito l'intervista con Jacopo riguardo agli ultimi lavori.


Chi è Jacopo Benassi e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare fotografo? 
La Spezia 1987, ho incontrato questo grande fotografo, grande persona sia a livello umano che fotografico, che mi ha insegnato a guardare, non a fotografare. Devo moltissimo a lui che mi ha formato culturalmente. La cultura fotografica che ho portato avanti successivamente nasce da un esperienza sul campo, il 90% sul campo sperimentando. Io facevo il meccanico, ma volevo fare anche il fotografo da studio, insomma, il figo! col passare degli anni ho capito che quella non sarebbe stata la mia strada. Ma un'altra ed è quella che sto percorrendo ancora adesso!

I tuoi scatti sono contraddistinti dalla vicinanza e dall'utilizzo del flash, i soggetti, rigorosamente in pose serie, sono sviluppati in bianco e nero. Cosa caratterizza la tua ricerca fotografica? 
Utilizzo il flash dal 1995-1996 quando a casa di una zia del mio amico ho visto il flash picchiare sul muro e fare un ombra. Una specie di luce che cattura gli oggetti. È una scelta e non riesco a non usarlo, inconsapevolmente ho rinunciato a dei lavori ma allo stesso tempo ho formato il mio stile. I soggetti sono in bianco e nero, anche se ho scattato a colori, i lavori a colore non li sento miei come lavoro. I colori mi distraggono, il bianco e nero mi fa vedere altri colori. È come se stessi scolpendo un ritratto o modellassi con la creta; mi ispiro molto agli scultori del periodo Romano. La scultura per me è basilare, mi sento più scultore che fotografo.

Allo spazio Ponch a Venezia ho avuto l'opportunità di vendere la tua persona che ha celebrato il Btomic, club da te co-fondato. Cosa ha rappresentato questo progetto nel tuo percorso? con che tipo di approccio immortalavi/documentavi in queste occasioni? 
 Allo spazio PUNCH ho portato le foto scattate al Btomic dei musicisti che passavano dal nostro locale: Jozef van Wissem, Chris Imler, Julia Kent , Mary Ocher, F.M Palumbo, Embryo, , Hugo Race, Tav Falco, Andrea Belfi, Lubomyr Melnyk, Ernesto Tommasini, Matt Eliot, Sir Richard Bishop, Six Organs Admittance, Mangiacassette, Baby Dee, Eugene Chadbourne Paul Beauchamp e molti altri. All’inizio al Btomic producevo una zine per ogni musicista che era composta da un cd del live registrato da noi e il libro a5 stampato sotto il Btomic dove tenevo una stampate laser che ho fuso dopo 3 anni per le troppe stampe !;)  Avevamo creato un locale cosi bello che da ogni punto io scattassi una foto, la foto veniva bene!



A Bologna presso Palazzo Bentivoglio è stato presentato il libro e gli scatti di Bolgona Potraits; come nasce il progetto e cosa lo contraddistingue? 
Il progetto Bologna Potraits nasce con Antonio Grulli, conosciuto al Btmoic, curatore e amico. Con Antonio e Gaia Rossi Vacchi incominciammo ha fotografare persone senza un ordine ben preciso ed è stato incredibile per me perché ho capito quanto Bologna sia una città veramente interessante, piano piano il libro prendeva la sua forma, ci abbiamo messo due anni, due e mezzo, più di 120 ritratti che mi hanno fatto conoscere Bologna. Con questo lavoro che considero a 6 mani con Antonio e Gaia abbiamo inaugurato lo spazio Palazzo Bentivoglio di Gaia e Alberto Vacchi dove è stata fatta un grossa mostra con tutti i ritratti, esposti su dei tavoli (sculture) fatte da me; questa esperienza bolognese è stata importante non solo per il libro ma anche per le persone che ho conosciuto che ora sono diventate grandi amici! come Sissi che è stata una delle prime ad essere fotografata per il libro, con cui ora abbiamo prodotto una performance, ROLLERS, che stiamo portando in giro; con Antonio ho collaborato anche alla mostra alla galleria di Francesca e Alessandra Minini a Milano, un connubio fra rock, religione e spiritualità che ha messo assieme i lavori di Vanessa Beecroft, Roger Ballen, Dan Graham e i miei. Da qui è nato il rapporto con la galleria con cui adesso lavoro e mi confronto. Sono riuscito a fare un sacco di strada e sento che è questa è la mia strada, un traguardo importante per me.

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