sabato 15 febbraio 2020

Interview with Michele Spanghero

Michele Spanghero, classe 1979, è artista sonoro e visivo italiano. La sua ricerca artistica coniuga suono e scultura attraverso l'acustica dei progetti, alla base lo studio la musica e il teatro che rielaborati prendono fisicità nei lavori. Parte del lavoro di Michele è caratterizzato da una ricerca fotografica in corso dal 2010 focalizzato su impercettibili variazioni cromatiche e geometrie marginali che vengono scattate in giro. Di seguito l'intervista con l'artista.

Chi è Michele Spanghero e qual'è il percorso che ti ha fatto diventare artista? 
Il percorso che mi ha portato ad applicarmi all’arte contemporanea è abbastanza tortuoso. Gli studi di letteratura costituiscono la base della mia formazione; durante gli anni di studio alla facoltà di lettere mi sono occupato principalmente di teatro, ma ho anche approfondito da autodidatta i miei interessi in campo musicale e artistico. La frequentazione di teatri fin dall’infanzia mi ha permesso di scoprire la musica e l’arte visiva in modo quasi naturale. Il mio immaginario, come un fiume carsico, si è nutrito di quell’esperienza che ora affiora sotto varie forme.

Il suono caratterizza le tue sculture, una parte della tua produzione, una seconda è caratterizzata dalla fotografia. Come bilanci questi due mezzi espressivi? cosa caratterizza la tua ricerca? 
L’incontro con l’arte contemporanea è giunto per gradi, in età matura, ma proprio per questo è stato un approccio consapevole, dettato da una sentita necessità espressiva. Ho inizialmente cominciato a sperimentare in campo musicale, ma ben presto ho fatto anche le prime esperienze espositive incentrate su lavori fotografici. La musica e la fotografia erano, nelle mie intenzioni, pratiche distinte ed ho sempre cercato di evitare una fusione di tipo banalmente sinestetico tra le due. Con il tempo, però, mi è stato evidente che le due esperienze fossero accomunate da un medesimo approccio metodologico, teso verso la ricerca del limite dei media che usavo. La scultura è stato il passo successivo, con cui sono riuscito ad unire concettualmente l’aspetto visivo con quello acustico in una dimensione tridimensionale. Nelle mie sculture o installazioni, gli aspetti quali forma e materia vengono completati attraverso la natura sonora. Credo che dell’esperienza musicale mantengo il background concettuale legato al rapporto tra silenzio e rumore, suono e spazio, mentre della fotografia conservo l’essenzialità della forma, l’idea di astrarre e risemantizzare i dati della realtà.

Ad lib. è un tuo lavoro che coniuga scultura e suono, cosa contraddistingue questo progetto e come nasce? che opera viene suonata dall'organo?
Quest’opera l’ho immaginata nel 2010 come un paradossale “organo artificiale”, mi sono immaginato uno strumento musicale, un organo a canne, collegato ad un ventilatore polmonare medico simile a quelli usati nell'assistenza ai pazienti con insufficienze respiratorie. L’opera è stata pensata come una metafora sul rapporto tra uomo e macchina e per sollevare un quesito etico sul limite della vita. Dall’idea alla realizzazione però il passo è stato molto complicato: per realizzare la prima versione di piccole dimensioni del lavoro ho impiegato 3 anni e poi ulteriori 3 anni per giungere alla versione di grandi dimensioni. Ma la ricerca continua e in queste settimane sto lavorando ad una nuova versione dell’opera. La prima versione di Ad lib. suona un cluster dissonante di note, per rendere meno consolatorio il suono dell’organo. Nella versione grande ho avuto la possibilità di lavorare in modo più musicale, così l’organo suona un accordo di Fa, in riferimento al Deutsches Requiem op.45 di Brahms, come se questo accordo fosse fermato nel tempo e si ripetesse a volontà (ad libitum, appunto) finché qualcuno letteralmente (ma anche metaforicamente) non stacchi la spina alla macchina medica.



Fra i tuoi lavori mi ha colpito particolarmente Listening Is Making Sense, una scultura che permette di ascoltare le vibrazioni dei suono. Mi racconti il progetto?
Questo è un progetto a cui sono molto legato e che considero una sorta di statement della mia ricerca artistica. L’idea alla base di quest'opera nasce nel 2009 dall'interazione sonora con un'installazione di Campus. In Listening Is Making Sense il suono è utilizzato per dare vita alla volumetria dell’opera formata da una struttura, solo apparentemente casuale, di travi di legno, nell’intento di generare una relazione fisica tra scultura e spettatore attraverso il tatto: appoggiare l’orecchio sulle travi permette infatti di scoprire il suono nascosto che fluisce nella materia del legno, altrimenti inudibile dall’esterno. Questa interazione è il movente del lavoro, perché, come afferma il titolo, è l’atto dell’ascolto a dare senso all’opera.

Studies on the Density of White è la tua serie fotografica nata nel 2010, una serie di scatti fra l'europa e l'america caratterizzati da differenti toni di bianco e grigio. Come nasce la serie e qual'è il tuo approccio?
La serie fotografica, tuttora in corso, è costituita da un centinaio d’immagini di elementi architettonici anonimi. Il titolo Studies on the Density of White credo ben delinei gli intenti del progetto: l'assenza di un vero soggetto classicamente inteso spinge lo sguardo verso una composizione astratta di campiture geometriche definite da diverse densità di bianchi e tonalità di grigi con il fine di studiare le possibilità compositive di questi semplici elementi formali. M’interessa sollecitare il gesto fotografico, servirmi della sua natura bidimensionale per spingere la fotografia verso una forma d’astrazione propria del disegno. Quello che mi affascina è trovare, e non creare, un’immagine, semplicemente “estraendola” dalla realtà. Un’immagine latente, che lo sguardo intuisce in un dettaglio architettonico e si realizza nella fotografia. Un’immagine però al limite tecnico dell medium fotografico e dunque al limite con il genere della grafica, del disegno o la pittura. Insomma cerco una “fotografia” che non voglia essere “fotografica”. Per questo motivo in questo progetto è stato importante lavorare anche sul display: le immagini non sono incorniciate, ma esposte su sottili mensole di acciaio, quasi a voler fare dell’immagine un oggetto. La fotografia diviene una piccola scultura che si adagia sul muro, ritrovando così la tridimensionalità del reale.
 Michele Spanghero, Ad lib. (2017-2018), scultura sonora, vista della mostra Jusqu'ici tout va bien, Biennale Némo, Centre 104, Parigi 2019 – courtesy dell'artista, Alberta Pane (Parigi, Venezia) e Mazzoli (Modena, Berlino, Dusseldorf)
Michele Spanghero, Listening Is Making Sense (2016), scultura sonora, vista della mostra alla Fondazione Studi Benetton Gallerie delle Prigioni, Treviso 2019 (ph. Marco Pavan) – courtesy dell'artista, Alberta Pane (Parigi, Venezia) e Mazzoli (Modena, Berlino, Dusseldorf)
Michele Spanghero, Studies on the Density of White (2019), installazione fotografica, vista della mostra alla Galleria Alberta Pane, Venezia 2019 – courtesy dell'artista e Alberta Pane (Parigi, Venezia)

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