La Fondazione punta alla ricerca e alla promozione dell'arte contemporanea internazionale attraverso l'esposizione e il supporto di giovani artisti selezionati in dialogo con i maggiori curatori d'arte. La visione e la mission svolta dall'istituzione fondata negli anni '90, prima con l'apertura della sede a Guarene d’Alba (CN) e nel 2002 nel cuore di Torino, punta alla valorizzazione delle differenti forme artistiche e porta allo scoperta il visitatore di artisti internazionali, spesso alla prima mostra in Italia, in un ottica educativa-esperienziale.
martedì 27 dicembre 2016
Fondazione Sandretto Re Rebaundengo
Ed Atkins e Josh Kline sono i due artisti presentati all'interno della Fondazione Sandretto Re Rebaundengo nella sede torinese che si possono vedere in questo periodo. Il primo mette in attimo una ricerca caratterizzata dai nuovi media, attraverso le vite trascorse on-line dai soggetti utilizzando video digitali auto-prodotti. Il secondo indaga nella società americana, divenuta un modello negativo per i paesi avanzati, attraverso sculture, video e installazioni che mettono in luce le trasformazioni politiche e sociali del nostro tempo, dalla tecnologia alla new economy.
giovedì 22 dicembre 2016
Interview with Luca Vanello



Luca Vanello, Trieste 1986, è un artista concettuale italo-sloveno che attualmente ha base a Berlino. Il suo lavoro spazia attraverso la scultura, interventi site-specific, installazioni e immagini. Lavora sulla ricollocazione e riproposizione di oggetti già finiti attraverso un processo che trasforma e cambia il loro significato. Di seguito vi propongo l'intervista con Luca Vanello.
Chi è Luca Vanello e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Sono un artista italo-sloveno cresciuto tra Trieste e Ljubljana che vive a Berlino dopo aver studiato all’ Universität der Künste a Berlino e alla Slade School a Londra. Cercando di ricordare i primi incontri che potrebbero avermi portato su questa strada, ricordo alle età credo di 8 anni di ritrovarmi davanti ad un lavoro di Eva Hesse ed insieme a mio padre cercavamo di indovinare / decifrare gli oggetti difronte a noi. Ricordo quanto fosse affascinante e nuovo quel momento di “dialogo visivo”.
Molti anni più tardi, dopo aver iniziato a studiare architettura e aver smesso dopo qualche mese, credo che questi primi incontri siano diventati punto di partenza per ragionare su altre possibilità.
Le tue opere sono installazioni composte da più oggetti, che raccontano e che mettono in luce un evento attraverso relazioni fra loro. Tu gli aggreghi e li collochi e vi dai un significato portando lo spettatore ad una riflessione. Come nascono e come prendono forma queste opere?Il lavoro inizia sempre con la ricerca. Ricerca, che spazia da letture di vario genere, a telefonate, blog e forum online, email, viaggi e appuntamenti, e la quale mi porta ad individuare le possibili persone con cui voler instaurare un dialogo. Per la natura dell’argomento delle ricerche spesso gli interlocutori che prescielgo non rispondono o non sono facilmente raggiungibili, per cui in questo processo si creano degli incontri non calcolati i quali diventano centrali e negli ultimi anni hanno incominciato ad esser concepiti come collaborazioni. E sono proprio queste collaborazioni che diventano modo per apprendere con maggiore profondità e per avere accesso alla materialità di certe realtà: dagli spazi fisici, agli oggetti ad i cicli di cui fanno parte e che li costituiscono. Scrivere brevi testi astratti che riprendono dei ragionamenti/impressioni diventa modo di incominciare a concepire il lavoro da diverse angolazioni, infatti funzionano come degli “sketches”. Queste piccole “note” diventano poi spesso parte dei titoli. Allo stesso tempo il lavoro prende forma molto attraverso sperimentazioni con materiali, dove gli strumenti di partenza sono YouTube a vari blog online dove cercare possibilità e opzioni di manipolazione dei materiali che ho avuto possibilità di incontrare durante la ricerca. È a questo punto che gli elementi della ricerca ed i piccoli esperimenti in studio incominciano ad entrare in dialogo e a complimentarsi in un lavoro.
lunedì 19 dicembre 2016
Mani _ Italian Stories
Mani è un progetto ad opera di Italian Stories attraverso l'artigianato e le eccellenze sparse nella penisola. Un libro alla scoperta del lavoro e della maestria di mestieri, spesso dimenticati, ma dal valore unico attraverso una rivalutazione e ricerca nel territorio. L'idea nasce dal voler "celebrare la bellezza del saper-fare artigiano" fulcro del progetto Italian Stories che punta al turismo culturale come itinerario alternativo all'interno delle botteghe artigiane. Il libro è composta da un testo introduttivo e una serie di scatti che raccontano 28 storie di artigiani attraverso il loro bene più prezioso, il "mezzo" che rende unici i loro lavori e artefatti, le mani per l'appunto. Il libro è disponibile in 365 copie scrivendo a info@italianstories.it.
sabato 17 dicembre 2016
A.B.C.L. Japan
A.B.C.L. Japan è uno scambio fra due culture differenti, fra due mondi lontani che creano un lifestyle unico. Da una parte Venezia, dall'altra Tokyo, lo stile e la ricerca di materiali e di un gusto senza tempo ha dato vita a A.B.C.L., ovvero le prime lettere dell'alfabeto e la L. derivante dal cognome del fondatore. Il brand è caratterizzato da u design essenziale unito ad una ricerca nei tessuti e forme che si presenta come una fusione fra queste due realtà dando vita ad una serie di camicie e pantaloni.
mercoledì 14 dicembre 2016
Blue de Cocagne
Blue de Cocagne è un brand con base a Tolosa, Francia, ossessionato dal blu, dalle sue sfumature e variazioni. La collezione è interamente artigianale ed ecologica nell'uso dei materiali e delle tinture, con la particolarità che i diversi toni del blu sono ottenuti dall'utilizzo dosato del pigmento indaco. Le linee sono comode e leggere, caratterizzare da un gusto orientale ed evocano un vestire talvolta dimenticato.
martedì 13 dicembre 2016
Mismo _ fall/winter 2016
Nordic Noir è la riscoperta della natura selvaggia, dei suoi colori e dei suoi elementi che si mescolano alla città di Copenhagen in un armonia-contrasto fra naturale e artificiale perfettamente in simbiosi. Mismo pensa e rielabora questo contesto rivisitando le proprie borse iconiche caratterizzate dall'utilizzo della pelle, del canvas e del nylon all'insegna dei colori che contraddistinguono questo paesaggio d'inverno. La collezione è disponibile nello store online di Mismo.
sabato 10 dicembre 2016
Interview with Eugenio Tibaldi
Eugenio Tibaldi, classe 1977, è artista italiano che lavora e vive a Napoli, i suoi lavori sono caratterizzati da una ricerca culturale con un focus sulle periferie, sull'abbandono e i suoi protagonisti. La periferia come luogo marginale non è solo un posto fisico ma anche uno stato mentale dove la vita scorre diversamente, dove tutto viene dimenticato ed abbandonato a se. Questo è il punto di partenza dei lavori di Eugenio Tibaldi, che attraverso differenti mezzi espressivi punta a indagare e a mettere in luce queste aree. Di seguito vi propongo l'intervista con l'artista.
Chi è Eugenio Tibaldi e qual'è il percorso che ti ha portato a definirti artista?
Sono nato ad Alba nel 77 ed ho fatto un percorso particolare che non mi ha definito in alcun modo nè dal punto di vista accademico nè dal punto di vista pratico... per cui non so dire se sono un artista. So che oggi il mondo dell'arte è il luogo in cui riesco ad esprimermi meglio.
Chi è Eugenio Tibaldi e qual'è il percorso che ti ha portato a definirti artista?
Sono nato ad Alba nel 77 ed ho fatto un percorso particolare che non mi ha definito in alcun modo nè dal punto di vista accademico nè dal punto di vista pratico... per cui non so dire se sono un artista. So che oggi il mondo dell'arte è il luogo in cui riesco ad esprimermi meglio.
La tua ricerca artistica parte dai luoghi periferici e attraverso differenti mezzi espressivi prende forma. Mi puoi parlare di essa, di come scegli il luogo e di come ti rapporti con esso?
Mi sono trasferito nell'hinterland Napoletano nel 2000 ed è stata una vera scoperta, la zona d'ombra al di fuori dei centri storici italiani è un luogo che mi ha attratto fin da subito, con la sua crudeltà pratica ed informale mi sembra il luogo più plastico e contemporaneo che abbiamo nel mondo. Le periferie sono spesso le fucine delle nuove forme estetiche e per me è proprio grazie alla mancanze di tutele dettate dall'amore e dalla storicizzazione che nei luoghi periferici si può pensare e generare una possibile nuova forma estetica.
Mi sono trasferito nell'hinterland Napoletano nel 2000 ed è stata una vera scoperta, la zona d'ombra al di fuori dei centri storici italiani è un luogo che mi ha attratto fin da subito, con la sua crudeltà pratica ed informale mi sembra il luogo più plastico e contemporaneo che abbiamo nel mondo. Le periferie sono spesso le fucine delle nuove forme estetiche e per me è proprio grazie alla mancanze di tutele dettate dall'amore e dalla storicizzazione che nei luoghi periferici si può pensare e generare una possibile nuova forma estetica.
La periferia prima di essere un luogo fisico è una condizione mentale, la mia condizione mentale, essere leggermente defilato rispetto al punto in cui mirano i riflettori mi permette una maggiore libertà di azione di espressione, dimensionare la contemporaneità attraverso questi luoghi e le tracce che lasciano mi dà l'impressione di cogliere l'essenza prima di ogni strumentalizzazione, prima di ogni consacrazione.
Hai vissuto per alcuni anni a Napoli e a questa città hai dedicato la tua mostra al MADRE dando vita ad una serie di arazzi attraverso cinque raggruppamenti da 24'000 immagini prodotte in collaborazione con un gruppo di studenti delle scuole superiori. Quasi li sono i temi affrontati con questo progetto e il ruolo del capoluogo partenopeo?
Questione d'appartenenza è solo l'ultima in ordine cronologico di molte ricerche che ho dedicato a Napoli ed al suo hinterland. Napoli è la mia città, la città che ho scelto per formarmi come essere umano, la città che mi ha fornito le armi per decifrare le dinamiche che incontro in ogni altra parte del mondo, una sorta di luogo d'elezione a cui sono legatissimo. È inoltre una delle pochissime città italiane in cui il centro e la periferia non sono disposte in modo canonico in base alla distanza da un'ipotetico centro pulsante, Napoli conserva delle sacche di resistenza civile nel cuore della città, sacche che la mantengono viva ed eclettica. Per questo progetto ho vissuto un'anno ai quartieri spagnoli, a 100 metri dalla celebre piazza del Plebiscito e a 100 metri da una piazza di spaccio.
Ho cercato così le tracce di questo dinamismo sociale attraverso le architetture, cercando le micro azioni informali svolte dai singoli cittadini sulle facciate dei palazzi storici, inserendomi nella scia di Walter Benjamin che teorizzò per Napoli l'idea della città porosa, un luogo unico in grado di cambiare ed aumentare gli spazi riconvertendo gli anfratti della sua stessa struttura, tradendo e deturpando la sua stessa bellezza, sporcandola di una nuova bellezza più viva ed unica che strafottente ride dei continui rintocchi che ne prevedono la morte.
A seguito della permanenza concordata con il museo Ettore Fico hai presentato la tua personale come un percorso attraverso oggetti, fatti e persone rivolto al cambiamento. Mi puoi parlare di Seconda Chance?
Seconda Chance è una mostra che si muove su diversi registri, il primo che va a parlare di questo momento storico in cui i quartieri funzionali delle città si trovano defraudati delle loro istanze ed obbligati a riconvertirsi nell'era post industriale (il museo stesso insiste in una ex fabbrica), il secondo parla dell'essere umano che nel percorso della sua vita si trova a dover affrontare la necessità di rimodulare il progetto e ridefinire la rotta quindi a doversi confrontare con il tradimento delle sue aspettative per potersi dare una seconda possibilità. Il terzo ed ultimo invece è più personale, da piemontese emigrato a Napoli rappresenta una sorta di ritorno ai luoghi d'origine, ai luoghi da cui sono andato via perché non mi sentivo compreso e che invece ero io a non comprendere, quindi alla mia seconda chance per cercare un punto di comunione.
Si tratta di un progetto cominciato quasi due anni fa in costante dialogo con il direttore del museo Ettore Fico e curatore della mostra Andrea Busto che ha visto un lavoro di ricerca sul quartiere di Barriera di Milano come modello su cui ragionare su questo particolare momento storico che vede i quartieri post industriali a dover ridisegnare il loro tessuto fisico e sociale. Una sorta di romanzo visivo che prova a raccontare il cambiamento nel momento in cui avviene.
Hai vissuto per alcuni anni a Napoli e a questa città hai dedicato la tua mostra al MADRE dando vita ad una serie di arazzi attraverso cinque raggruppamenti da 24'000 immagini prodotte in collaborazione con un gruppo di studenti delle scuole superiori. Quasi li sono i temi affrontati con questo progetto e il ruolo del capoluogo partenopeo?
Questione d'appartenenza è solo l'ultima in ordine cronologico di molte ricerche che ho dedicato a Napoli ed al suo hinterland. Napoli è la mia città, la città che ho scelto per formarmi come essere umano, la città che mi ha fornito le armi per decifrare le dinamiche che incontro in ogni altra parte del mondo, una sorta di luogo d'elezione a cui sono legatissimo. È inoltre una delle pochissime città italiane in cui il centro e la periferia non sono disposte in modo canonico in base alla distanza da un'ipotetico centro pulsante, Napoli conserva delle sacche di resistenza civile nel cuore della città, sacche che la mantengono viva ed eclettica. Per questo progetto ho vissuto un'anno ai quartieri spagnoli, a 100 metri dalla celebre piazza del Plebiscito e a 100 metri da una piazza di spaccio.
Ho cercato così le tracce di questo dinamismo sociale attraverso le architetture, cercando le micro azioni informali svolte dai singoli cittadini sulle facciate dei palazzi storici, inserendomi nella scia di Walter Benjamin che teorizzò per Napoli l'idea della città porosa, un luogo unico in grado di cambiare ed aumentare gli spazi riconvertendo gli anfratti della sua stessa struttura, tradendo e deturpando la sua stessa bellezza, sporcandola di una nuova bellezza più viva ed unica che strafottente ride dei continui rintocchi che ne prevedono la morte.
A seguito della permanenza concordata con il museo Ettore Fico hai presentato la tua personale come un percorso attraverso oggetti, fatti e persone rivolto al cambiamento. Mi puoi parlare di Seconda Chance?
Seconda Chance è una mostra che si muove su diversi registri, il primo che va a parlare di questo momento storico in cui i quartieri funzionali delle città si trovano defraudati delle loro istanze ed obbligati a riconvertirsi nell'era post industriale (il museo stesso insiste in una ex fabbrica), il secondo parla dell'essere umano che nel percorso della sua vita si trova a dover affrontare la necessità di rimodulare il progetto e ridefinire la rotta quindi a doversi confrontare con il tradimento delle sue aspettative per potersi dare una seconda possibilità. Il terzo ed ultimo invece è più personale, da piemontese emigrato a Napoli rappresenta una sorta di ritorno ai luoghi d'origine, ai luoghi da cui sono andato via perché non mi sentivo compreso e che invece ero io a non comprendere, quindi alla mia seconda chance per cercare un punto di comunione.
Si tratta di un progetto cominciato quasi due anni fa in costante dialogo con il direttore del museo Ettore Fico e curatore della mostra Andrea Busto che ha visto un lavoro di ricerca sul quartiere di Barriera di Milano come modello su cui ragionare su questo particolare momento storico che vede i quartieri post industriali a dover ridisegnare il loro tessuto fisico e sociale. Una sorta di romanzo visivo che prova a raccontare il cambiamento nel momento in cui avviene.
giovedì 8 dicembre 2016
Lodental _ fall/winter 2016
Lodental riscopre e propone in chiave contemporanea il classico cappotto tipico de Trentino Alto Adige in tessuto loden. La collezione fall/winter 2016 presenta linee asciutte unite a forme rigorose attraverso la celebrazione di un capo iconico del guardaroba maschile caratterizzato da qualità e funzionalità. I colori delicati vengono proposti doppiati attraverso una ricerca negli accostamenti e nei dettagli.
lunedì 5 dicembre 2016
Badly Repaired Cars by Ronni Campana
Ronni Campana fotografa il meglio e il peggio delle riparazioni fai-da-te effettuate sulle autovetture. Fari rotti, cofani sfondati, finestrini e specchietti danneggiati sono i soggetti in primo piano di questo libro fotografico pubblicato dalla Hoxton Mini Press. Rolls Royce e Fiat sono alcuni delle macchine riparate in modo bizzarro trovate da Ronni Campana tra Londra e Milano. Il libro è disponibile nella versione tradizionale oppure collector con una stampa in edizione firmata e numerata dal fotografo.
sabato 3 dicembre 2016
Inside the Factory: Lanificio Paoletti
La storia del Lanificio Paoletti inizia nel 1795, quando Gaspare Paoletti a Follina, una delle principali zone per la lavorazione della lana dell’allora Repubblica di Venezia, fonda l’omonimo lanificio avvalendosi delle risorse che il territorio offre: l’acqua corrente e i pascoli limitrofi. Oggi il Lanificio Paoletti è l’unica manifattura attiva nella zona, che un tempo basava l’intera sua economia su questo settore. Superate le guerre mondiali e la crisi dei tessuti sintetici, oggi l’azienda è tornata a competere a livello internazionale grazie all’offerta di un prodotto caratterizzato da un know-how ricco di storia unito allo sviluppo tecnologico e all’innovazione dei processi produttivi. L’azienda si approvvigiona delle migliori lane (Mohair, Cachmire, Australiana ma anche la pecora autoctona Alpagota) e offre ai proprio clienti tessuti dalle differenti caratteristiche e peculiarità, grazie all’intera filiera interna. All’interno del Lanificio Poletti troviamo il reparto di stoccaggio delle lane grezze, il lavaggio della materia grezza, la tintura, passando poi alla filatura e in fine alla tessitura, prestando il massimo rigore ad ogni passaggio così da offrire un prodotto d’eccellenza. Le lane prodotte possono essere utilizzate per differenti capi d’abbigliamento a seconda dei pesi e della struttura, l’azienda offre inoltre un ricco campionario caratterizzato da trame e colori personalizzabili. L’archivio storico del lanificio, catalogato oggi anche in digitale, conserva i tessuti prodotti dall’800 ad oggi, modelli esclusivi di lane e stoffe creati ad hoc per le grandi case di moda, eserciti e ordini religiosi che oggi non sono più riproducibili.
giovedì 1 dicembre 2016
Soloviere Paris - footwear hand made in France
Soloviere Paris presenta una calzatura contemporanea attraverso la reinterpretazione della classica derby e della slip-on. La ricerca dei materiale e delle forme ha portato Alexia Aubert a proporre una scarpa genderless formata da un unico forma intera tagliata che prende la forma tradizionale della calzatura grazie ai lacci. I modelli proposti vengono montati su fondi da sneakers oppure in cuoio con un piccolo tacco. Nello store online di Soloviere trovate l'intera collezione.
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