giovedì 22 dicembre 2016

Interview with Luca Vanello




Luca Vanello, Trieste 1986, è un artista concettuale italo-sloveno che attualmente ha base a Berlino. Il suo lavoro spazia attraverso la scultura, interventi site-specific, installazioni e immagini. Lavora sulla ricollocazione e riproposizione di oggetti già finiti attraverso un processo che trasforma e cambia il loro significato. Di seguito vi propongo l'intervista con Luca Vanello.


Chi è Luca Vanello e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Sono un artista italo-sloveno cresciuto tra Trieste e Ljubljana che vive a Berlino dopo aver studiato all’ Universität der Künste a Berlino e alla Slade School a Londra. Cercando di ricordare i primi incontri che potrebbero avermi portato su questa strada, ricordo alle età credo di 8 anni di ritrovarmi davanti ad un lavoro di Eva Hesse ed insieme a mio padre cercavamo di indovinare / decifrare gli oggetti difronte a noi. Ricordo quanto fosse affascinante e nuovo quel momento di “dialogo visivo”.
Molti anni più tardi, dopo aver iniziato a studiare architettura e aver smesso dopo qualche mese, credo che questi primi incontri siano diventati punto di partenza per ragionare su altre possibilità.

Le tue opere sono installazioni composte da più oggetti, che raccontano e che mettono in luce un evento attraverso relazioni fra loro. Tu gli aggreghi e li collochi e vi dai un significato portando lo spettatore ad una riflessione. Come nascono e come prendono forma queste opere?Il lavoro inizia sempre con la ricerca. Ricerca, che spazia da letture di vario genere, a telefonate, blog e forum online, email, viaggi e appuntamenti, e la quale mi porta ad individuare le possibili persone con cui voler instaurare un dialogo. Per la natura dell’argomento delle ricerche spesso gli interlocutori che prescielgo non rispondono o non sono facilmente raggiungibili, per cui in questo processo si creano degli incontri non calcolati i quali diventano centrali e negli ultimi anni hanno incominciato ad esser concepiti come collaborazioni. E sono proprio queste collaborazioni che diventano modo per apprendere con maggiore profondità e per avere accesso alla materialità di certe realtà: dagli spazi fisici, agli oggetti ad i cicli di cui fanno parte e che li costituiscono. Scrivere brevi testi astratti che riprendono dei ragionamenti/impressioni diventa modo di incominciare a concepire il lavoro da diverse angolazioni, infatti funzionano come degli “sketches”. Queste piccole “note” diventano poi spesso parte dei titoli. Allo stesso tempo il lavoro prende forma molto attraverso sperimentazioni con materiali, dove gli strumenti di partenza sono YouTube a vari blog online dove cercare possibilità e opzioni di manipolazione dei materiali che ho avuto possibilità di incontrare durante la ricerca. È a questo punto che gli elementi della ricerca ed i piccoli esperimenti in studio incominciano ad entrare in dialogo e a complimentarsi in un lavoro.

Alla fondazione Ratti hai presentato un lavoro composto di due parti, Girl In Red And Blue Unloading Horse, un intervento sul muro e Pause, un installazione a terra. Mi puoi parlare di questo lavoro?
In Girl In Red And Blue Unloading Horse ho usato un codice che ho sviluppato il quale permette di inserire del testo scritto all’interno del codice binario di un’immagine digitale creando in questo modo un glitch. Nel caso di questo lavoro, l’immagine iniziale è un’immagine digitale di un dipinto parte permanente della villa, adesso spazio espositivo. L’immagine, raffigurante una scena di manodopera agricola è stata poi alterata con l’inserimento di parole che descrivono gli ultimi instanti visivi di una persona che ha perso la vista. L’immagine digitale è stata poi trasferita a muro e camuffata nello spazio circostante. Nel lavoro sono spesso interessato ad esplorare relazioni di potere all’interno dei meccanismi di “visibilità’” e di rappresentazione. Infatti mi ha colpito questo quadro che se inizialmente letto come una qualsiasi “scena di genere”, al contempo rappresenta in modo evidente una forma di sfruttamento di lavoro. In più il fatto che fosse parte dell’architettura della villa, al tempo dimora di proprietari terrieri del luogo e di conseguenza “proprietari” del lavoro sulle loro terre, quel quadro indica un duplice sfruttamento: sfruttamento diretto del lavoro e sfruttamento attraverso l’”abbellimento”/”decorazione” dello spazio attraverso la rappresentazione di questa condizione. L’immagine è stata poi alterata inserendo un testo che descrive gli ultimi atti visivi ricordati da un individuo che ha perso la vista, in questo modo portando attenzione all’idea di “visibilità” e di “possibilità’ di vedere” come capitale e forma di potere ma anche come aspetto intimo, in entrambi dei casi possibilità’ persa.
Il secondo lavoro, Pause, consiste in piante selezionate dal parco costruito durante il periodo Romantico, circostante lo spazio espositivo. Le piante, che provengono in un certo qual modo di nuovo da un spazio di lavoro della proprietà, diventano pars pro toto del paesaggio dove le stesse scene di lavoro si ambientano. Anche in questo la loro materialità viene alterata. In fatti attraverso un processo di acidazione sono state private della clorofilla; tuttavia l’energia è ancora conservata nella loro struttura, in questo modo crea un momento di pausa nel loro ciclo.

Al MAAD di Adria ho visto la tua opera untitled, composta da una serie di oggetti pignorati e riacquistati all'asta. Come nasce questa lavoro e qual'è la sua essenza?
Untitled fa parte di una serie di lavori realizzati durante una residenza ad OUTPOST a Norwich in Inghilterra e creato in collaborazione con “The Norfolk and Norwich Bereavement Support Group” e University College London Department of Applied Health Research, London. Questa serie di lavori prendono come punto di partenza come la politica economica e i tagli dell’austerità vengono ad influenzare le sfere più intime e private di un individuo.
Il lavoro Untitled consiste in effetti personali pignorati inizialmente ricomprati ad un’asta e la cui materialità è stata successivamente invertita. Il concetto di riportare la materialità degli oggetti allo stato prima di una forma funzionale (e riconoscibile) consiste nel volere aprire una nuova potenzialità’, dove questi piccoli frammenti, se reinseriti in nuovi cicli, acquisterebbero nuove forme e significati. Attraverso processi come vaporizzazione, frammentazione, alterazioni digitali, i materiali inizialmente carichi “ontologicamente” perdono i loro riferimenti diventando materiali in limbo, materia spoglia con la possibilità’ di nuovo potenziale. Allo stesso tempo il lavoro è concepito come assemblaggio /ecosistema, dove i cicli all’interno dei materiali selezionati vengono concepiti come parte attiva del ciclo più esteso da cui i materiali provengono. Infatti i materiali vengono letti come un “sample” di un ciclo molto più vasto, in questo caso un ciclo economico che si espande fino all’ intimità di un individuo arrivando alla rimozione di oggetti personali. L’atto di estrarli dal ciclo economico e la successiva manipolazione della loro materialità e simbolicamente del loro “timeline” (in questo caso attraverso l’inversione), diventa traduzione – articolazione di concetti, un possibile tentativo d’ ‘inversione’ della causa economica che ha portato alla loro rimozione.

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