sabato 19 novembre 2016

Interview with Matteo Attruia



Matteo Attruia, classe 1973, è un artista italiano che lavora con le parole, attraverso un processo caratterizzato da un ironia e umorismo di fondo, avvalendosi di differenti mezzi espressivi. Il suo linguaggio si presenta diretto ed immediato, utilizzando come mezzo cartelli stradali, insegne luminose o marmi commemorativi dei defunti. Di seguito l'intervista con Matteo.


Chi è Matteo Attruia e qual'è il percorso che ti ha portato a definirti artista?

Fatico ad accettare le definizioni, ma non sfuggo all'impegno: sono nato ad un certo punto. biograficamente rincorro l'arte fin da piccolo e, in fondo, non ho mai creduto di voler fare altro nella vita. Come al solito, per molti anni, è stata la vita a costringermi ad altro, ma l'arte è sempre stata accanto a me, così come il desiderio di comporre. Non esiste una data precisa, ma potrei dire che "qualche anno fa" l'ho deciso, senza tornare indietro.

Le tue opere sono caratterizzate dalle parole, le lettere fanno parte di esse nelle loro differenti forme. Sei attore e autore dei tuoi lavori, ne sei parte e il tuo nome si mescola a slogan e termini d'uso comune. Hai un approccio ironico, allo stesso tempo d'accusa e di polemica che contraddistingue il tuo lavoro. Mi puoi parlare del tuo processo artistico?
Il processo creativo è spesso parte dell'opera stessa. altre volte è più nascosto. ai termini "ironico", "polemico", “accusa”, io ne preferisco altri: umoristico, contraddittorio, assente giustificato. Mi piace utilizzare un linguaggio semplice e diretto, nel rispetto di chi si avvicina all'arte, senza respingerlo; piuttosto accogliendolo.

Al TRA, a Treviso, si trova la tua opera "La Svegas", un vecchio distributore che inserendo 2 euro restituisce una pallina con un dollaro e un tuo intervento. Segno del valore dato al lavoro dell'artista. Mi puoi raccontare di come nasce questo progetto e di quel'è l'idea?

Spesso accade che subisca le idee e le sue illuminazioni estetiche. Così è successo per La Svegas. non ricordo quando e come sono entrato in possesso di questo vecchio distributore, ma mi è apparso chiaro che ci avrei sviluppato un lavoro. Lo scambio non è evidentemente equo. Io avevo bisogno di soldi e in cambio ho "dato" l'opera più economica che abbia mai prodotto. Mi sono divertito e verifico che le persone si divertono ad avere un dollaro timbrato da me, a costo di pagarlo anche due euro.

Al Lanificio Paoletti durante la tua residenza, partendo dal recupero e sulla sua storia del luogo ai sviluppato una serie di opere site specific come alcune incisioni su muro. Che opportunità è stata per te questa residenza e come si colloca nel tuo percorso?

Non si è trattato realmente di una residenza. io non ho uno studio, non l'ho mai avuto. un giorno parlando con Nico Covre (una delle persone più preziose e generose che conosca) ci è venuto in mente di trasferire il mio "non studio" al lanificio Paoeletti, e così è stato. per un solo weekend. Abbiamo organizzato una festa aperta a tutti e un momento di scambio di idee e di opportunità reciproche. Per l'occasione abbiamo lavorato su una vecchia insegna recuperata da cui è nata l'opera folli_a. Le incisioni su muro (pratica che ormai eseguo da molti anni) sono state un momento di condivisione autentico. Le persone presenti incidevano la scritta su una dima che avevo preparato io. Con molta grinta e, forse, con un po' di rabbia, scrivevano parole dolci sul muro. Indelebili.

Giacinto Di Pietrantonio afferma su di te di essere un ladro, un cleptomane, di rubare idee qua e là, facendole sue, inserendosi in tal modo in quella linea di pensiero della vitalità del negativo elaborata da Nietzsche per il quale il ladro, l'azione criminale contiene una dose di creatività. Come hai reagito a quest' "inquadramento" artistico datoti?
E'un suo pensiero che rispetto. Non lo vivo come un inquadramento, ma solo come una delle infinite cose che si possono affermare (non solo su di me, ma rispetto al lavoro di tutti). Le idee non mi appartengono, non appartengono a nessuno e va da sé che nessuno le può rubare, di fatto. Non sono certo che Nietzche abbia mai parlato di questo, ma di certo non ha mai parlato di me.

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