mercoledì 28 ottobre 2015

Interview with Andrea Mastrovito

Andrea Mastrovito, classe 1978, vive e lavora fra Bergamo e New York, le sue opere si avvalgono di  differenti mezzi espressivi che vengono coadiuvati in un unico progetto; fra le differenti tecniche, la pittura svolge un ruolo chiave all'interno delle opere diventando una parte di essa. L'artista si relaziona con gli spazi espositivi presentando progetti site specific per ogni esposizione diventando parte integrante della "struttura ospitante" come nel caso della mostra al GAMeC. Le opere di Andrea Mastrovito sono presenti in numerose collezioni pubbliche tra cui il Museo del Novecento a Milano, il MUDAM di Lussemburgo e la Manchester Art Gallery. Di seguitouna vi propongo la mia intervista all'artista.


Chi è Andrea Mastrovito? qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Chi sono? Dimmelo tu, Andrea, io non lo so. Posso però dirti come è cominciato tutto. Artista lo diventai per scommessa, un pomeriggio di quasi vent'anni fa, mi ritrovai in un parcheggio fuori da scuola col mio migliore amico, Zizi. Avevamo terminato gli esami di maturità da meno di mezz'ora, ci siamo guardati e  ci siamo detti: cosa facciamo adesso? Lui amava il cinema, io il calcio e l'arte. Siccome però come calciatore facevo schifo (sigh), optai per l'arte e dissi a Zizi: se io faccio l'Accademia di Belle Arti, tu fai Lettere indirizzo Cinema, così poi da grandi ci troveremo e faremo un film assieme. Ecco io sto ancora aspettando che Zizi dia l'ultimo esame di latino II...

I tuoi progetti spaziano da scultura ad installazione a pittura, come nascono i tuoi lavori? tu vivi e lavori fra Bergamo e NewYork, queste due città giocano un ruolo nelle tue opere?
Sì queste due città mi nutrono, una mi ha cresciuto, l'altra mi ha svezzato. Entrambe mi hanno insegnato a prendere sia dall'alto che dal basso, senza distinzione (non a caso a Bergamo c'è Città Alta e Città Alta e a New York Uptown e Downtown!), e quando le fonti si sovrappongono è più facile che anche i linguaggi si incrocino e diventino un tutt'uno, un corpus unico dove pittura scultura e installazione dialogano senza soluzione di continuità. Ma il punto di partenza è, essenzialmente, sempre il disegno e lo studio del segno, difatti quando dipingo disegno, quando installo disegno, quando uso la scultura, disegno.

Nel 2014 al Gamec, nello spazio Zero hai creado un progetto site specific, "at the end of the line", mi puoi raccontare in cosa consisteva?
Un lavoro folle, come spesso del resto, in cui ho pensato di realizzare un'opera d'arte totale, quasi wagneriana nella sua ambizione, in cui ho parlato della morte dei singoli parlando poi della vita di ognuno. Ho girato decine di cimiteri nel Nord Italia e nello stato di New York, realizzando frottages di decine e decine di tombe, a volte sdraiato sulle stesse, a volte persino finendoci dentro o scappando a gambe levate al buio e ai fulmini. Alla fine, sul pavimento dello Spazio Zero, ho disposto cento frottage di tombe di persone che avevano vissuto da 0 a 100 anni, scelte fra sepolture che andavano dal primo secolo d.C. ad oggi. Disposte in terra come il Gioco della Campana (o del Mondo) e coperte con decine di pannelli di plexiglass, costituivano un grande cammino attraverso il tempo e lo spazio, la vita e la morte, verso il muro dove un disegno murale di 60 mq nascondeva una serie di sorprese. Una mostra che mi è costata molta fatica, ma mi ha dato grande gioia, soprattutto perchè dopo tanti anni ho potuto esporre un gran lavoro nella mia città.

Ad Artverona sono rimasto colpito dalla sue scultura Dreams 2, quatro statue classiche in cemento di cui una distrutta collocate girate con una serigrafia sulla schiena, come nasce l'opera e con essa cosa voi trasmettere?
In realtà non si tratta di serigrafia ma di disegno a matita. L'opera fa parte di un corpus più grande, composto da cinque gruppi scultorei ed otto collages che ho presentato lo scorso febbraio al Museo Andersen nella personale "Here the dreamers sleep". Sostanzialmente (sarò breve perchè la questione è lunga) si tratta di una serie di lavori sulla caduta dei sogni e delle utopie, laddove l'idea di rivoluzione rappresenta qualcosa di folle (e magari irrealizzabile) in cui credere, mentre l'idea di utopia viene letta come un imborghesimento del processo rivoluzionario, qualcosa in cui, invece che credere, sperare. E si sa, chi visse sperando, morì c.......!

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