venerdì 2 dicembre 2022

Interview with Yuval Avital

Yuval Avital, classe 1977, è artista multimediale e compositore la cui pratica i cuoi lavori dialogano con spazi pubblici come musei, teatri e siti archeologici. La sua ricerca crea un rituale contemporaneo, attraverso la realizzazione di un microcosmo esperienziale, poetico ed emozionale unico, un "opera totale" che prende forma attraverso differenti discipline. Ha realizzato il progetto per Reggio Parma Festival 2022 che ha preso forma attraverso differenti momenti e espressioni durante l'anno. Di seguito l'intervista con Yuval. 


Chi è Yuval Avital e qual è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Ciò che mi caratterizza come persona e come artista è il voler arrivare al cuore delle cose, un movimento che mi spinge verso la loro verità. La mia arte è tesa al disvelamento della realtà sommersa che ci circonda, dei punti cardinali dell’uomo e dei suoi confini dall’Altro, della parte più istintiva e vulnerabile che è in ognuno di noi. La pratica attraverso cui porto avanti questa ricerca è la connessione: per disvelare bisogna conoscere e per conoscere bisogna ascoltare, unirsi, connettersi. La mia è un’arte fortemente relazionale, che cerca il dialogo in ogni sua forma: dalla crowd music - in cui chiedo a persone diverse di eseguire vocalizzi o ripetere delle parole che assumono, grazie al portato esistenziale, una espressività unica – ai lavori scultorei e installativi – che produco collaborando con le maestranze artigianali (per esempio le mie maschere sonore presentate nelle mostre Nephilim a Firenze, Museo Marino Marini, o Giobbe, presentato alle Terme di Diocelziano) o i teatri (come è accaduto per il grandissimo progetto del Mostrario, messo in scena in questi mesi a Reggio e Parma, all’interno della meta-opera Il Bestiario della Terra e di cui parlerò più avanti)– alle performance – che richiedono un lungo lavoro basato su intesa e fiducia tra performer e artista. Questo modo di agire è frutto di una necessità interiore: le strade che ho intrapreso a livello lavorativo mostravano la loro autenticità in maniera istintiva. Da ragazzo a Gerusalemme ho frequentato l’Istituto di Musica Contemporanea in cui ho seguito corsi di chitarra, improvvisazione e musica sperimentale jazz. Ho poi proseguito la formazione, all’Accademia di Musica e Danza, in cui ho avuto la possibilità di sperimentare in modo costante un dialogo multidisciplinare con la danza e linguaggi affini a quelli musicali, e ho fatto parte del gruppo di ricerca etnomusicologica nella Fonoteca Nazionale di Israele che mi ha invece avvicinato all’aspetto antropologico del suono e musicologico. Nel 2002 sono arrivato in Italia per suonare con il mio trio per chitarra, mandolino e clavicembalo, Three Plucked Strings, e durante il tour ho incontrato il maestro Angelo Gilardino, direttore della celebre Fondazione Andrès Segovia, che mi ha invitato a seguire il suo corso internazionale per solisti a Vercelli. Sono andato a vivere a Biella dove ho scoperto la Fondazione Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto, divenuto poi mio maestro e amico. Qui ho presentato nel 2006 Trialogo Festival, che riuniva poeti iraniani, turbinanti dervisci, suonatori di flauti cinesi, danzatori indiani e cantanti beduini, ed è stata una tappa fondamentale che mi ha permesso di approfondire l’aspetto corale dell’arte, di indagare ed intessere tradizioni diverse, di contaminare il mio lavoro strutturalmente con elementi non solo musicali. Un altro momento importante del mio percorso artistico è stato nel 2015 con Alma Mater (attualmente la più grande installazione sonora mai realizzata in Italia, composta dalle registrazioni trasmesse da 140 altoparlanti di voci cantilenanti di nonne provenienti da tutto il mondo, unite a suoni naturali, che rappresentano l’archetipo femminile), presentato a Milano nella Cattedrale della Fabbrica del Vapore. Il nucleo centrale della mia ricerca è qui diventato molto chiaro, come la cifra stilistica che mi contraddistingue: lavori corali in grande scala in cui confluiscono componenti visive e musicali. Da questo momento in poi sono iniziate le mostre museali e monografiche, come Variazioni sul tremore armonico, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci a Milano, nato da un viaggio sull’Etna e che si è tradotto in centinaia di fotografie, terabyte di contenuti video e installazioni icono-sonore, o come Tree Grades of Foreigness, installazione complessissima creata per la Fabbrica del Cioccolato in Svizzera. Successivamente questi processi relazionali su grande scala si sono espansi ulteriormente, nello spazio e nel tempo: per Postcards from Rome al MACRO a Roma ho lavorato per un anno coinvolgendo l’intera città, mentre per Human Signs, presentata al LOOP Festival di Barcellona, ho coinvolto più di duecento artisti su scala mondiale. Per me, far convivere il musicista, che ha segnato il mio passato, con l’artista, entrato in scena più di recente nel mio percorso, non porta a delle contraddizioni, ma, viceversa, è un arricchimento che nutre il mio lavoro sempre di nuove energie. Il mio rapporto con la pittura e la scultura, invece, si è sviluppato successivamente. Non conosco le ragioni che mi hanno condotto a questi media, una energia irrefrenabile e inconscia mi ha spinto ad esplorarli, mettendo da parte le paure che sorgono quando si sperimentano nuovi linguaggi.

La tua pratica coniuga differenti discipline e forme espressive, dal teatro alla pittura, cosa caratterizza la tua ricerca, spesso definita come “opera totale”?
Il fatto di aver lavorato con moltissimi linguaggi è stato per me una forte spinta a pensare a un progetto non rinchiuso in un determinato formato ma che esista, e si propaghi, in modi diversi. Sicuramente, uno degli elementi che più caratterizzano la mia ricerca è il suono – una parte famosa della mia produzione è legata alle installazioni icono-sonore, di cui alcune incluse nel macro-progetto de Il Bestiario della Terra, come le Maschere Sonore nella mostra Persona o il Cammello esposto in Membrane o, ancora, Il Cuore di Etna presente nella mia mostra personale alla Galleria Building di Milano (2021) - ma non voglio limitare le mie possibilità solamente a questo. Come ho già detto, lavoro in modo istintivo e la mia curiosità mi porta a indagare materiali, tecniche e processi diversi, anche quelli di invenzione più recente, come le intelligenze artificiali (per esempio, per il Mostrario - l’opera conclusiva de Il Bestiario della Terra - ho utilizzato sia figure create con il software Midjourney per raffigurare le Mandragole, sia delle applicazioni da me progettate per il collage di immagini estrapolate da internet in modo randomico presenti nell’installazione della Medusa). Questo modo di intendere la creazione artistica appartiene all’idea di opera totale che utilizza tanto le arti dello spazio (come la pittura e la scultura, che si sviluppano su un asse visivo) quanto quelle del tempo (come la musica, il video, la performance o il teatro che si sviluppano sull’asse della temporalità). Questo modo di produrre l’arte ha anche un risvolto significativo per quanto riguarda la fruizione da parte del pubblico che si trova coinvolto nei miei lavori attraverso tutti i sensi, stimolato da esperienze immersive che assottigliano la distanza tra arte e vita. In questi progetti di ampia portata è inoltre fondamentale il lavoro con le maestranze locali che mi aiutano nel processo produttivo, per condurre una pratica artistica trasversale e orizzontale, che avverto come necessaria non solo per raggiungere obiettivi di alto profilo ma anche per lasciare un segno che vada al di là dell’opera effimera. Questo è infatti uno degli obiettivi che mi prefiggo, ovvero che tutte le connessioni e i contatti nati per e durante la realizzazione del progetto diano vita a uno sviluppo sinergico delle professionalità che, sopravvivendo alla concretizzazione materiale dell’opera e alla sua esposizione, prosegua nel tempo.

Per il Reggio Parma Festival hai lavorato al Bestiario della Terra, un percorso tra storia e territorio, mi racconti come ha preso forma? 
A novembre 2021 sono stato contattato dal Reggio Parma Festival per la realizzazione del progetto dell’anno 2022. Quando ho ricevuto la telefonata, mi è stato detto che avrei potuto creare qualunque cosa, che mi sarebbe stata lasciata carta bianca – questo è stato un grande onore per me perché manifestava un atto di completa fiducia verso il mio lavoro. Ho iniziato a studiare le caratteristiche del territorio emiliano, dalle sue confermazioni morfologiche ai piatti che tipicamente vengono consumati, agli artisti che precedentemente nella sua storia vi avevano operato. Ho così scoperto che la tradizione dei bestiari medievali aveva lungo corso, che aveva guidato la pratica artistica di molti autori, primo tra tutti Benedetto Antelami che ha realizzato dei bellissimi bassorilievi, sotto il nome di Zooforo, al Battistero di Parma. Il sapere medievale dei bestiari è poi sfociato, con il cambiamento di paradigma illuministico, in una trattazione scientifica della tassonomia animale e umana, che analizza il confine tra uomo e animale e tra animale e mostro - ovvero tutto ciò che esula da una rigida classificazione biologica - e che trova la sua concretizzazione negli studi anatomici di Lazzaro Spallanzani, presenti a Reggio Emilia nei Musei Civici con la vasta collezione di animali tassidermizzati del grande scienziato. Un aspetto che mi ha particolarmente colpito è il gusto artistico di cui non è certo privo il lavoro di Spallanzani: la giustapposizione dei corpi degli animali è guidata non solo da una volontà di analisi scientifica ma anche da un piacere estetico. Ho così deciso che il mio progetto avrebbe avuto come filo conduttore la figura della bestia, dell’ibrido, del chimerico e del fantastico e che avrebbe indagato i sistemi ecologici, ovvero il confine e lo scambio tra l’uomo e l’animale e tra l’uomo e la natura. Per questo progetto del Reggio Parma Festival ho deciso di creare una installazione, quattro mostre, tre spettacoli diversi nei tre teatri promotori del Festival: un denso palinsesto che preferisco chiamare meta-opera perché si sviluppa in moltissimi luoghi diversi che, messi in stretta connessione tra loro, danno vita a un’unica enorme opera diffusa in tutta la città, e perché utilizza tantissimi linguaggi, dal video alla performance, alla pittura, alla danza, all’installazione, che sono tutti i media da me indagati in questi anni di lavoro.

A Reggio Emilia, nei chiostri di San Pietro, all’interno della tua personale curata da Marina Dacci, presenti il terzo capito di Foreign Bodies; come nasce questo progetto e come si è sviluppato nel capito Emiliano in mostra? 
Dopo il primo capitolo di Foreign Bodies, realizzato in Svizzera (Valle di Blenio) nel 2017 ed esposto alla Fondazione La Fabbrica del Cioccolato, e il secondo capitolo, realizzato in Sassonia nel 2019 ed esposto alla Biennale di Dresda, avevo il desiderio di creare un terzo capitolo tutto italiano. Durante la prima riunione con i Teatri – Teatro Regio e Teatro Due di Parma, il Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia – Paolo Cantù, Roberto Fabbi, Paola Donati, Barbara Minghetti, i direttori artistici e i curatori, hanno espresso la volontà di inserire anche Foreign Bodies nei progetti per Reggio Parma Festival e questa si è dimostrata una ottima occasione, oltre che per presentare le edizioni passate, per proseguire e produrre quella italiana. Un ulteriore fattore determinante è stato la forte tradizione di Reggio Emilia nella danza. Volevo scegliere, infatti, per il terzo capitolo di Foreign Bodies dei performer che appartenessero al territorio e, entrando in dialogo con le diverse realtà emiliane legate alla danza, ho scoperto la scuola di Michele Merola, MM Contemporary, da cui vengono molti dei danzatori selezionati per questo capitolo. Foreign Bodies è un lavoro che esiste in forma di video e fotografia, e che registra delle posizioni particolarmente espressive e ancestrali, non fluide ma statiche, che chiedo ai performer di assumere in modo statuario, in scenari naturali potenti e selvaggi (fiumi, deserti di ghiaccio etc.) o violati (da cartelli stradali, grandi condutture idriche, dighe). Queste posizioni rappresentano il rapporto complesso e stratificato dell’uomo con Madre Natura e, se in Foreign Bodies 1 e 2 ho deciso di emblematizzare il rapporto attraverso figure soltanto femminili e isolate, ho qui deciso di includere l’elemento maschile e collettivo, per andare a rappresentare la figura archetipica di Adamo (interpretata da Gabriele Corrado, danzatore solista del Teatro La Scala di Milano) e del genere umano. Per la realizzazione di Foreign Bodies 3 è stato determinante il dialogo e il rapporto instaurato con Marina Dacci, con i professionisti dei Teatri, e con gli abitanti della Regione (come Pietro l’alpinista o lo staff dell’agriturismo Montebaducco): essi sono stati i miei “Virgili”, mi hanno guidato e mostrato i luoghi più caratteristici del territorio, dal Lago di Ventasso, alla Pietra di Bismantova, ai Calanchi di Ligonchio, in cui potessi sviluppare il progetto. Per Membrane, mostra in cui è presente il terzo capitolo di Foreign Bodies, ho utilizzato tutti i miei linguaggi in modo molto libero: qui sono presenti oltre ai lavori di performance, video e fotografia (Foreing Bodies è infatti presentato attraverso 14 proiezioni parallele e l’apparato fotografico), anche lavori pittorici, dalle chine alle tele materiche, dei murales (ho riprodotto sulle pareti di una stanza gli schizzi in carboncino delle posizioni che ho chiesto ai performer di assumere durante le riprese di Foreing Bodies) e le sculture sonore (Il Cammello, Il Mammuth e Il Cuore). Presentare, senza gerarchizzazione, tutte le forme artistiche che ho finora utilizzato è stato per me molto importante perché mi ha dato la possibilità di restituire al grande pubblico la complessità e la multi-sfaccettatura del mio lavoro.

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