venerdì 26 novembre 2021

Interview with Gaia Di Lorenzo

Gaia Di Lorenzo, classe 1991, è artista italiana che spazia fra pittura e scultura. La sua pratica spazia fra la realtà e la funzione, dove riferimenti provenienti da mondi lontani si fondono e prendono forma sotto forma di stimoli visivi differenti. Temmatemenetè è l'ultimo progetto realizzato per una Boccata d'Arte; di seguito l'intervista con Gaia. 



Chi è Gaia Di Lorenzo e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Ah, che domanda con cui iniziare! Una risposta può essere che ho studiato lettere a Tor Vergata e Fine Arts alla Slade e alla Goldsmiths e ho lavorato come assistente per artisti come Marvin Gaye Chetwynd e Eloise Hawser o per gallerie come Vilma Gold. Un'altra risposta potrebbe essere che ce ne sono diverse e che diventare un artista è un buon modo per alimentarle tutte e non rinunciare a nessuna. Scegli tu.

La tua ricerca sfocia in una narrazione multidisciplinare, cosa la caratterizza?
Principalmente il tentativo di produrre una pratica che sia polivalente, indefinibile e contemporaneamente un costante rifiuto di aderire a una tendenza specifica. Nei miei lavori coabitano riferimenti storico artistici assieme a letterari ma anche fantasy, il mondo antico con un immaginario quotidiano.... Come nelle equazioni complesse in matematica così i significati e la potenza di questi elementi si moltiplica, accumula e divide in un modo strano, rimanda a una sensazione di un presente confuso per definizione, a un presente saturo di stimoli visivi.

We contain each other (Breve storia di una spugna) è la tua personale da ADA, mi racconti le opere che erano presenti in mostra?
La mostra era nata come un'idea di viaggio, come percorso dinamico. All’entrata ovvero al centro della sala espositiva principale era un portale doppio e vetrato poi un cunicolo portava al piano di sotto, umido e poco illuminato che ospitava una pittura su vetro una scultura. Volevo parlare del viaggio di una spugna, di qualcuno estremamente influenzabile da tutto ciò che incontra e che lo circonda e che, per questo, vive un’instabilità totale. Nel viaggio, la speranza di una possibile stabilità porta la spugna a ricercare un proprio centro eliminando o lasciando indietro quello che non capisce, quello che le sembra sia "arrivato dopo", che la confonde e che sente altro da sé. In fondo in fondo al percorso però, incontra solo un umido organo in putrefazione. Allora alla spugna (o il visitatore) rimane solo di risalire in superficie e tornare al caos di immagini e stimoli che la attorniava, forse è tutto giusto, forse è tutto importante. Ho trovato un certo tipo di pace nell’accettare questa condizione di instabilità e influenzabilità e anzi, di usare un elemento come contrappeso di un altro e di trovare nella negazione, una qualche definizione.

Come nasce e qual'è l'idea di Untitled (Helmet 3)?
Untitled (Helmet 3) è il pezzo centrale di “Protection Series”. Concepita prima della crisi sanitaria, tuttavia eccezionalmente attinente, la serie è composta da un gruppo di sculture dotate di poteri magici che ricordano nella forma protezioni per varie parti del corpo. Untitled (03) è il primo elmo/maschera della serie ed è una scultura unica in bronzo prodotta a cera persa presso Fonderia Battaglia di Milano.
È un elmo indossabile, nonostante sia molto pesante. Ciascuno dei tre volti è un patchwork di tratti somatici ed espressioni ispirate non a uno, ma a una serie di persone diverse. Con alcune di queste persone ho una relazione intima e ne ricordo i tratti a memoria, altri sono frammenti che mi hanno semplicemente colpita (un mento, una fronte ecc), ancora altri son presi da personaggi storici per me particolarmente significativi. In effetti spesso per i miei soggetti, attingo in egual misura da moltissime fonti: immagini trovate sui social network, pezzi antichi, il lavoro e il dialogo con i miei colleghi. Mi interessa sia il processo di raccolta che quello di rimestamento – o “filtraggio” – di queste stesse fonti.
Ad esempio, gli elmi e le maschere sono oggetti comuni già utilizzati in vari periodi storici e nelle aree geografiche le più disparate. Gli usi stessi sono alle volte diametralmente opposti: non solo quelli protettivi e offensivi per la guerra ma anche ritualistici e religiosi. Ed è a questi mondi, che sembrano apparentemente distinti, sui quali mi sono focalizzata, unendoli e mischiandoli.
Untitled(Helmet 3) è una via di mezzo tra un elmo e una maschera, infatti, se indossato, arriva a coprire il volto fin sotto al naso, o meglio, ai (suoi) nasi. Da un punto di vista pratico indossandolo si perde la vista verso l’esterno, ci si sente protetti e ci si ri-flette verso l’interno. Da qui (e da una serie di ricerche di cui vi voglio parlare), viene l’idea che sia dotato di poteri straordinari: chi lo indossa può trasformarsi in qualcun altro o semplicemente è finalmente libero di mostrare un’identità sociale e spirituale diversa rispetto a quella percepita.

Per una Boccata d'Arte hai presentato Temmatemenetè, come prende forma il progetto e cosa lo caratterizza?
Temmatemenetè è un intervento diffuso a Terravecchia, il borgo anticobdi Pietramontecorvino. Il titolo, una cui traduzione plausibile è «Ti ucciderei, ma non ne ho voglia», coincide con il ritornello di uno sciàmbule, forma di canto tradizionale diffuso in alcuni paesi dei Monti Dauni, praticato su un’altalena improvvisata con un ceppo da ardere, sospeso tramite una fune alla porta d’ingresso delle abitazioni. Tramandati in forma esclusivamente orale, gli sciàmbule si cantavano unicamente nella settimana del Carnevale e consentivano di rovesciare temporaneamente le gerarchie, i costumi e la morale vigente, veicolando di volta in volta messaggi e sentimenti proibiti d’amore, disdegno o di dolore. L’idea di soglia fisica e simbolica è al centro dell’intervento, che ha come fulcro principale il portone d’ingresso alla corte del Palazzo Ducale. Qui ho installato una grande tenda in alluminio che richiama le tradizionali moschiere diffuse nei borghi del Meridione (scendlill nel dialetto locale), sormontata da una traversa in legno intarsiato su cui è incisa la frase Temmatemenetè. La decontestualizzazione di un elemento tipicamente popolare ha l’effetto di proiettare l’intera corte in una dimensione insolita da interno domestico. A fare da eco all’installazione principale, nei vicoli e nelle piazze di Terravecchia, altre moschiere riattivano passaggi e porte di case abbandonate. A loro e al vento - presenza costante nel borgo - sono affidate parole e messaggi che riaffiorano da un tempo lontano e danno nuova vita agli sciàmbule.

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