martedì 3 marzo 2020

Interview with Matteo Montagna



Matteo Montagna, classe 1992, è artista visivo italiano il cui approccio è caratterizzato da un tocco ludico. Il processo creativo che caratterizza i suoi lavori sono l’entusiasmo e la spontaneità di un bambino mescolando differenti culture e influssi Di seguito l'intervista con Matteo.

Chi è Matteo Montagna e qual è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Un ragazzo con i baffi e il cappello che ama le macchinine giocattolo. Sono nato nel 1992 in Brianza. Mia sorella Elisa era una pittrice, e grazie a lei ho iniziato a disegnare da piccolo. Mi sono laureato nel 2015 alla NABA, Accademia di Belle Arti di Milano. Finiti gli studi non ero così consapevole di quello che volevo, così decisi di fare un lungo viaggio in Sud America di 5 mesi con il mio amico Bista. Al ritorno ruppi ogni legame con l’arte e attraversai un periodo di depressione. In questo lasso di tempo, che è inutile spiegare, ho raggiunto una maggiore consapevolezza che potremmo chiamare anche “cazzutaggine” e che mi ha portato qui, dove mi diverto facendo arte! Per me esprimersi è un’esigenza, poterlo fare attraverso l’arte mi rende più completo come essere umano.

La tua ricerca artistica è caratterizzata da un approccio ludico/puerile, cosa la caratterizza e come essa si manifesta? Lavori sia in studio che all'esterno, come si differenziano le due fasi nel processo?
L’approccio ludico/puerile in qualche modo mi appartiene e quindi è parte della mia visione in maniera del tutto spontanea e naturale. La mia ricerca non è altro che il prodotto di ciò che sono come essere umano e porta con sé dei valori che restituisco nelle mie opere: umanità e umorismo, con tutte le loro sfaccettature. È una pratica ferrea, diventa un metodo di conoscenza per me come lo è per un bambino, uno strumento di sviluppo delle proprie capacità cognitive. La prima parte del processo artistico avviene spesso fuori dallo studio osservando ciò che accade, divertendomi con ciò che ho attorno. Spesso racconto che è come corteggiare una ragazza: c’è tutta una fase di divertimento, di eccitamento, di scoperta e di attesa che accada qualcosa. Poi in studio inizia un’altra fase che non è per forza più pratica, ma più ragionata e contenutistica, mantenendo un’attitudine sempre ludica. Con il lavoro del 2017 Brooom Broom, composto da macchinine in gesso appoggiate su bidoni in metallo, ho realizzato una performance “segreta” dove i muri dello studio sono diventati una strada su cui le macchine di gesso gareggiavano tra loro, andando quindi a ribaltare il piano di un ipotetico circuito. C’è un evidente rifermento all’infanzia, con l’idea di “scrivere” su una lavagna immaginaria con i gessetti, ma mi interessa sottolineare l’aspetto performativo che ritorna più volte nella mia pratica artistica. In sbaaam, lavoro scelto per la copertina di Artribune Settembre/Ottobre 2018, è stata documentata fotograficamente da Francesca Sgarlata una performance che consisteva in una partita di pallacanestro giocata da solo. La restituzione anche in questo caso non vuole essere l’esperienza reale di un atto performativo, ma di un azione fermata e impressa ad elevare il gesto sportivo di conquista e vittoria di questa copertina attraverso uno “sbaaam”. Più recente è il progetto Pistolata sviluppato in residenza a Cosenza, che prevedeva durante la serata dell'opening della mostra di chiusura la performance Mi scappa qui. Io e un altro performer giravamo nello spazio espositivo con una pistola d’acqua, cercando un angolo di privacy, mimando il gesto di "fare pipì". Bar Sport, progetto di residenza B.R.A.C.T. del 2019, è invece una performance della durata di 3 giorni sviluppata come un torneo di bocce con dei cocchi presso il Centro Incontro Don G.Valli di Arona, centro di aggregazione per anziani e sede di associazioni culturali, ricreative e di solidarietà. La mia poetica ha a che fare con una continua scoperta di noi stessi e di ciò che ci accade come esseri umani situati in questo mondo, e cercare di farlo senza prendersi troppo sul serio. Il metodo più naturale per me è farlo attraverso un atteggiamento ludico e divertente, perché si avvicina a valori di veridicità e umanità che sono i fondamenti del mio essere.



Dal progetto TEAMBRIANZA alla residenza al BoCs Art di Cosenza, due progetti che caratterizzano il tuo lavoro; mi racconti come hanno preso forma e qual è il loro significato?
TEAMBRIANZA nasce per una residenza che ho svolto in Brianza con un gruppo di altri sei artisti provenienti da tutta Italia. Ogni progetto si sviluppava in relazione alla comunità e al territorio di Vimercate, una delle principali città della provincia di Monza e Brianza. In quel periodo stavo ragionando sull'idea di tavolo come oggetto di scambio, dialogo e sedimentazione di azioni. Parallelamente, ho cominciato a dialogare con un ragazzo senza permesso di soggiorno che era  temporaneamente domiciliato in città. Per una settimana abbiamo passato del tempo insieme vivendo la quotidianità. Abbiamo lavorato insieme, come una squadra, interagendo anche con gli altri artisti in residenza. L’aspetto della collettività, intesa come famiglia o gruppo di amici, è diventato uno strumento per creare il lavoro: una pila di poster posti su un piedistallo, che raccontavano cosa era successo, e una pila sdraiata a terra di cappellini con visiera su cui era impressa la scritta TEAMBRIANZA. A Cosenza è stata invece una residenza di due settimane, eravamo 10 artisti. Ringrazio Andrea Croce dell'invito in primis. C'era una bellissima energia e sinergia con gli altri artisti, mi sono divertito ed emozionato molto, vuoi anche perché avevo dimenticato il telefono a casa (rido). Prima di partire stavo leggendo Figure piscianti 1280-2014 di Jean-Claude Lebensztejn, un'immagine curiosa quella di creare giochi d’acqua attraverso il membro, che nella storia ha decorato quadri, fontane e altre opere. E’ un gesto irriverente e scherzoso, ma anche riservato e privato. Ho immaginato di creare delle fontanelle che potessero appartenere alla città di Cosenza (e una di queste è stata esposta nella mostra collettiva Overlap alla Galleria Nazionale di Cosenza, che si è conclusa il 12 Gennaio 2020). Non sono oggetti funzionanti, ma mi piace pensare che possano diventarlo grazie al loro aspetto verosimile. La seconda fontanella esposta all’opening è stata da me imbrattata con una scritta di vernice spray con la dedica “Rino ti amo”, in omaggio al mio “amico” Gaetano di origine calabra.

CUORE SELVAGGIO è la tua personale da Current curata da Irene Sofia Comi, mi racconti della mostra? che lavori sono esposti e come nascono?
La mostra vuole raccontare uno spaccato del mondo e della cultura dei truckers che conosco fin da bambino per l’azienda di trasporti di famiglia. Mi interessava approfondire la tematica con un atteggiamento umano e rispettoso, riflettendo sulla figura della donna-copertina presente in questa realtà. Ho pensato che lo spazio di Current, dove si è svolta la mostra, poteva e doveva diventare la cabina di un camionista, come se entrando in mostra il visitatore diventasse partecipe della sacralità e dell’intimità di chi vive quella casa viaggiante. Il portone d’entrata, allestito con una tenda in ciniglia a corde, e la porta presente sul fondo dello spazio mi hanno aiutato a rendere più concreta la suggestione della cabina del camion. La realtà che ho mostrato è selvaggia e sexy come le due sculture in ferro verniciate (Camilla e Federica) ispirate ai bull bar presenti sulla mascherina dei camion, ma allo stesso tempo anche tenera e giocherellona come gli stickers presenti nella stanza, disegni su carta adesiva sparsi qua e là. Questi due aspetti volevano essere le chiavi di lettura del progetto. Con Irene Sofia abbiamo poi pensato che fosse giusto veicolare la mostra al di fuori dello spazio fisico attraverso un suo racconto narrativo e una fanzine, con la collaborazione grafica di Adriano Nicolosi, che affronta la tematica della cultura visiva del trucker, per permettere al pubblico una continua riflessione, perché no, anche nella propria quotidianità.

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