sabato 5 ottobre 2019

Interview with Bianca Salvo



Bianca Salvo, classe 1986, è artista visiva italiana che lavora fra Milano e Bogotà. La sua cerca svolge un ruolo predominante nel processo creativo ed è un viaggio fra modelli e clichè attraverso la selezione di documentazioni d'archivio, una serie d'immagini che insinuano nell'interlocutore un dubbio come nel progetto di The Universe Maker. Di seguito l'intervista con Bianca Salvo.



Chi è Bianca Salvo e qual'è il tuo percorso che ti ha fatto diventare artista? 
Sono un artista visiva dal 2016 vivo e lavoro come artista e docente di fotografia tra l'Italia e il Sud America e ho cominciato il mio percorso nel mondo della fotografia e dell' arte con un breve corso di tecniche alternative di sviluppo in fotografia analogica. In seguito mi sono diplomata nel 2010 presso l'Istituto europeo di Design di Milano in Fotografia e Arti Visive e nel 2012 ho terminato un Master in Fotografia nel London College of Communication di Londra.

La tua ricerca fonde tecnologia, scienza e fotografia costruendo una documentazione/archivio legata ad un fatto storico. Cosa caratterizza il tuo lavoro? come avviene la fase di ricerca? 
Il mio lavoro nasce dall'intenzione di esplorare la relazione tra il documento fotografico e il concetto di credenza universalmente condivisa. Quasi sempre lavoro appropriandomi di immaginari preesistenti, utilizzando archivi digitali e analizzando eventi chiave nella storia dell’evoluzione umana, con il proposito di creare una nuova sequenza narrativa non lineare e che ponga in discussione il concetto stesso di evidenza. La fase di ricerca occupa una parte consistente della mia pratica come artista ed e sicuramente uno dei momenti più importanti durante la creazione dei miei progetti. Non seguo un ordine specifico semplicemente quando comincio a maturare delle idee per i miei progetti la ricerca informa la pratica e viceversa. eidolon, immagine è un progetto legato al ruolo dell'immagine come ritratto.

Come hai scelto di approfondire il tema e cosa caratterizza il progetto? 
Questo progetto é stato il risultato di un percorso di residenza con la Galleria San Fedele di Milano e il tema proposto per l edizione 2015 era appunto il ritratto. Ho deciso dunque di analizzare il tema da un punto di vista più ampio e intendendolo come un’attività di raffigurazione intrinseca e imprescindibile dall'essere umano che, nel tentativo di dare un senso e un significato al mondo, rappresenta, illustra, plasma e ritrae. Il progetto è stato realizzato attingendo a fonti d’archivio digitali, testi illustrati provenienti da diverse discipline, dall'antropologia alla ricerca scientifica fino alla storia dell’arte. Estrapolate dal loro contesto originario, le immagini selezionate, sono state restituite fisicamente sotto forma di libro d’artista, realizzato a mano con tecnica di collage e composto da 24 tavole la cui successione segue tre grandi categorie di rappresentazione: la terra, il cielo, e le acque sotto la terra.



The Universe Makers è il tuo progetto esposto al Foto Museum di Winterthur, come nasce questo progetto? 
Il progetto The Universe Makers è il risultato di una ricerca durata quasi due anni (20016-18) sull'immaginario spaziale e la sua percezione. L'idea é stata quella di analizzare modelli e cliché di rappresentazione sui quali è stata edificata la cultura di massa e che ancora al giorno d’oggi influenzano posizioni e inclinazioni nei confronti della scienza e dello spazio. Attraverso questo corpo di lavoro, ho voluto esplorare il ruolo che tecnologia, media, e fantascienza e ovviamente la fotografia hanno avuto nell'indirizzare e plasmare l’immaginario collettivo verso credenze, scenari surreali e aspettative illusorie. In questi anni ho collezionato scritti e immagini d’archivio interrogandomi sul loro valore informativo e sulla loro autenticità, e attraverso processo di manipolazione delle fonti ho ricostruito un dialogo parallelo tra documenti originali e false evidenze. Il progetto concepito come un’installazione combina immagini, oggetti e testo e offre una riflessione sull'ambiguità del ‘documento’ fotografico mettendo in discussione il suo incontestabile potenziale di creare evidenze oggettive.

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