Chi è Marco Maria Zanin e qual'è il percorso che ti ha portato a diventare artista?
Non molto tempo fa mi chiesero se c'era un oggetto con cui mi sarei potuto descrivere, risposi "il vomere di un aratro". Mi riconosco molto nell'attitudine di "smuovere la terra", di rompere le zolle. Fuori dalla metafora, prima durante e dopo l'arte, con o senza l'arte, sono una persona con la testa molto dura e con degli ideali che vuole vedere realizzati: l'arte entra in questo processo perchè può essere uno strumento tagliente, che rompe gli schemi, crea spazio, porta luce. Ho studiato prima letteratura e poi relazioni internazionali perchè volevo creare qualcosa di ibrido che portasse innovazione sociale, come artista sono autodidatta, la mia prima mostra fu un gioco realizzato tra amici. Ora sto unendo linguaggi e pratiche e promuovendo sempre di più l'interazione tra l'arte e progetti che abbiano un impatto sulla comunità.
La tua estetica è un tocco delicato, un sapiente equilibrio fra la luce e le ombre in dialogo con l'oggetto immortalato. Cosa caratterizza la tua ricerca artistica?
Tento di conciliare la poesia con la crudezza concettuale del contemporaneo. La prima vorrei che fosse una porta di accesso aperta a tutti, che ti abbraccia per farti ascoltare ciò che voglio dire attraverso l'opera, la seconda qualcosa che ti inquieta, che ti fa porre delle domande che rimangono aperte. Ho iniziato con la fotografia, che ancora rimane il mezzo principale, e recentemente ho integrato con la scultura, generando un dialogo e un "corteggiamento" tra esse, tra una dimensione più incorporea e "spirituale" e una legata più al qui ed ora. In tutti i casi vi è una trasfigurazione dei soggetti che fotografo, che spesso sono oggetti di tradizioni popolari legate al passato, che diventano quasi oggetti religiosi, di culto, onirici ed eterni.
Il progetto Lacuna e Equilibrio nasce successivamente alla tua residenza in Brasile, come si è sviluppato e come ha preso forma?
Era il 2015, avevo il desiderio di lavorare sulla natura morta provando a creare un dialogo tra le dinamiche frenetiche di San Paolo e un rapporto diverso con il tempo che rappresenta l'Italia e la sua storia. Camminando per le strade a San Paolo non si può non imbattersi costantemente con questi grandi contenitori di metallo pieni di macerie, frutto di una città che costantemente cambia pelle. La chiara citazione di Morandi della serie Lacuna e Equilibrio è una nota ironica, sono le macerie che invertono la loro temporalità e il loro destino: come le vecchie scatole e le bottiglie del pittore bolognese, diventano quasi delle "sacre famiglie", catapultate dalla loro condizione di scarti di edifici dalla breve vita, a elementi di una struttura eterna e metafisica.
Ferite/feritoie è una serie di collegamento fra passato e presente, una rielaborazione sotto-forma di sculture di oggetti in legno a cui viene dato un nuovo corso. Cosa caratterizza questo progetto?
Con le Ferite/feritoie sono tornato al mondo da cui sono partito, quello delle Cattedrali rurali, quello dei miei nonni: il mondo contadino. Continuando a scorgere nelle vecchie pialle da falegname di mio nonno delle forme provenienti da tutt'altro mondo, ho provato a fare ciò che Fontana ha fatto sulla tela (e quello che spesso la vita fa con noi), ovvero infliggervi un taglio (una ferita) per vedere che altri mondi, che altre potenzialità si sarebbero svelate. Ne uscivano in maniera del tutto nitida dei piccoli idoli, delle statuette religiose, delle maschere. Poi la fotografia, per decontestualizzare ulteriormente l'oggetto e, potendo giocare con la scala, portarlo ancora più lontano da se stesso. Un'ulteriore testimonianza di quanto i gesti spontanei degli artigiani siano legati a ciò che Rousseau chiamava "l'origine", tanto quanto quelli di chi, in culture lontane dalle nostre, scolpiva immagini sacre.
La serie Ritualia immortala una mostra dedicata alla cultura contadina inesistente, come nasce questo progetto? quali sono gli elementi a cui viene dato una funzione scultorea nuova?
Con Ritualia credo di aver voluto fare ancora un passo in questa tesi della somiglianza tra gli strumenti di lavoro del mondo contadino e gli oggetti di culto delle culture chiamate "primitive". In Ritualia non c'è nessun taglio, nessuna interferenza negli oggetti ma ho semplicemente sostituito il display tradizionale del museo della civiltà contadina con quello tipico delle mostre di arte "primitiva": ho spostato gli oggetti della civiltà contadina dal secondo piano al terzo, creandovi una mostra fittizia. La fotografia poi entra e sancisce l'operazione come reale, e lo sgabello per la mungitura delle mucche è diventato una maschera, gli scaldini per il letto un totem, etc.
Arzanà è il tuo progetto appena presentato alla Galleria MarignanaArte di Venezia, una riscoperta/ricerca sulla città lagunare attraverso i suoi elementi; come nasce questo progetto?
Quando Marignana Arte mi ha chiesto di fare un intervento nella project room, ho deciso di provare a fare come il solito un pò il "rabdomante" e vedere se nel territorio esisteva qualche giacimento nascosto con cui relazionarmi, qualche realtà appartenente all'identità popolare di Venezia che poteva essere interessante rileggere attraverso la fotografia e la scultura. Dopo aver visitato alcuni posti veramente affascinanti, ho deciso di lavorare sulla collezione di oggetti contenuta nel piccolo museo dell'Associazione Arzanà, che si occupa di trasmettere la memoria e diffondere la cultura della navigazione in laguna. La cosa interessante è stata poi l'opportunità di lavorare all'interno dell'Accademia delle Belle Arti di Venezia, che mi ha supportato mettendomi a disposizione due studenti del corso di scultura, Giacomo Perazzolo e Giovanni Pozzobon, con i quali di fatto ho realizzato le sculture presenti in mostra. Ma l'aula di scultura è stata poi anche l'espediente scenico, tramite la fotografia, per trasformare in sculture anche i pezzi di carpenteria navale dati in prestito da Arzanà. Lo considero un lavoro diverso dagli altri proprio perchè l'operazione artistica è consistita semplicemente nel ribaltare il significato dei pezzi facendoli collidere con il laboratorio di scultura: non ci sono rimandi a oggetti di culto eccetera, ma solo i pezzi che, dislocati, ci raccontano cose nuove.
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