venerdì 9 marzo 2018

Interview with Michele Ciacciofera

Michele Ciacciofera è artista italiano, nato a Nuoro nel 1969; si forma a Palermo per trasferirsi successivamente a Parigi, dove vive e ha lo studio. Il suo lavoro è caratterizzato dall'utilizzo di differenti media espressivi, un indagine relativa ai luoghi d'origine nel contesto del mediterraneo. I progetti richiamano la memoria collettiva attraverso installazioni, suoni, tele e opere su carta; ha partecipato alla 57° Biennale di Venezia e Documenta 14. Di seguito vi propongo la mia intervista con l'artista.


Chi è Michele Ciacciofera e qual'è il percorso che l'ha portata a diventare artista?
Sono nato in Sardegna e ho vissuto e studiato in Sicilia, a Palermo e Siracusa, prima di spostarmi a Parigi dove attualmente vivo e lavoro.
Sono stato incoraggiato dai miei genitori sin dall’infanzia a seguire le mie aspirazioni e tra queste quella per me più naturale è stata l’arte, benché abbia preferito una formazione non strettamente ortodossa. Ho sviluppato la mia formazione artistica prima autonomamente e poi nello studio di un designer e architetto sardo che era anche artista: Giovanni Antonio Sulas. E’ stato il mio maestro, mi ha guidato in molte scelte tra cui quella di indirizzare la formazione universitaria verso studi sociologici e antropologici parallelamente all’attività artistica. Questo mi ha consentito di estendere la visione dell’arte verso terreni contingenti. Successivamente, negli anni ho avuto la fortuna di poter conoscere tante persone rivelatesi fondamentali per la mia maturazione artistica, soprattutto scrittori e antropologi, con cui ho condotto un dialogo che è tutt’oggi necessario nella mia ricerca.

Nei suoi lavori vengono utilizzati differenti media per produrre le opere legate ai suoi luoghi d'origine. Cosa caratterizza la sua ricerca artistica e come si relaziona con i differenti mezzi che utilizza?
I media che utilizzo sono strettamente connessi al linguaggio e al messaggio che le opere vogliono veicolare, in particolare per tutte quelle legate appunto alle ricerche sul Mediterraneo e i luoghi d’origine. Innanzitutto il disegno, che è per me è un processo necessario e iniziale per ogni riflessione, essendo indissolubilmente legato al processo cognitivo, in associazione con appunti e scritti attraverso cui registro tutto quello che attira la mia attenzione e che traduco infine tridimensionalmente. La sperimentazione dei materiali che utilizzo è un aspetto conseguente, un modo di guardarmi intorno ma anche di mettere in discussione la natura e la funzione degli stessi. Penso per esempio alla terra cruda, con cui ho realizzato una grande installazione per la mostra Emisferi Sud in corso al MAN di Nuoro, che è un materiale da costruzione arcaico per eccellenza
tornato di grande attualità con le tecnologie dell’architettura contemporanea ecosostenibile. Nell’opera esposta attualmente al MAN di Nuoro questa materia interagisce con suoni registrati e ritmati diffusi nell’ambiente espositivo per raggiungere una dimensione sinestetica totale. La terra cruda rappresenta un punto di partenza, ideale, cosi come lo è stata per ogni civiltà, che mi ha consentito nel caso specifico di addentrarmi in una dimensione archetipale della memoria, in una sintesi spiritualmente compiuta sia con la natura che con il luogo di produzione. Per l’opera realizzata in Sardegna puntavo infatti a utilizzare terra, argilla, acqua, paglia e sole dell’isola con l’idea per me irrinunciabile che l’atto di creazione possa scaturire spontaneamente in ogni contesto, quello che i romani definivano genius loci. Ho fatto questo esempio per cercare di chiarire quanto ogni materiale che uso nel fare sculture e installazioni sia connaturato ai concetti che intendo esprimere. Questo rapporto intimo con la materia è parte essenziale del mio modo di sentire e creare, da ciò discende anche l’interesse per alcune tecniche artigianali strumentalmente utili all’elaborazione di un codice espressivo.
In questi ultimi anni, nel lavoro plastico, ho privilegiato l’uso della ceramica, l’associazione di materiali tessili e metalli, l’assemblaggio tra fossili e cemento, cartone, materiali industriali etc. oltre al riutilizzo di oggetti di uso quotidiano.
Ho inoltre lavorato a dei video, a varie opere sonore, senza mai abbandonare la pittura a cui comunque mi dedico meno che in passato.

Janas Code, opera presentata per la Biennale d'Arte di Venezia, è un’installazione caratterizzata da una dimensione arcaica, un richiamo alle sue origini sarde, che unisce differenti forme "tradizionali" d'espressione, mi può parlare di come nasce il lavoro?
La leggenda delle Domus del Janas è da un lato un ricordo, una reminiscenza di racconti ascoltati dai familiari e dall’altro il tema di letture e ricerche che spaziano dall’archeologia alla antropologia. Partendo da un punto di vista solo apparentemente identitario svolgo un confronto tra realtà molto eterogenee quali quella sarda e tutto ciò che è ad essa esterno per verificare quanto possano essere universalizzabili certi microcosmi attraverso l’approfondimento della conoscenza delle loro specificità. Infatti, quando iniziai a lavorare a Janas Code studiavo i vari aspetti riguardanti le tombe ipogeiche sarde di epoca neolitica confrontandole con quelle dello stesso periodo presenti nel resto del Mediterraneo e soprattutto in Sicilia e Malta, tenendo ben a mente quel substrato narrativo, popolare e letterario, che caratterizza questo tema in Sardegna. Creare ponti e comparazioni tra le varie culture mediterranee è per me una questione di massimo interesse che a volte evidenzia quanto le distanze tra le differenti culture di questo universo storico e geografico siano solo apparenti. Nella fattispecie, è attraverso questo processo che cerco di penetrare maggiormente la storia e i vari aspetti sociali di specifiche realtà, come in questo caso quella sarda, che agli occhi esterni risultano spesso criptici e complessi. Fatta questa premessa, il concepimento del progetto Janas Code, tradotto circa due anni dopo nella installazione presentata alla 57ma Biennale di Venezia, è stato indubbiamente il risultato della maturazione concettuale ed estetica di temi conosciuti sin dall’infanzia.
Janas Code è un lavoro legato al linguaggio o meglio al confronto tra linguaggi. Penso che per interpretare più a fondo ciò che viviamo e vediamo occorra un atteggiamento positivo e propositivo costantemente mediato da ciò che culturalmente ci appartiene e che apra la strada a nuovi linguaggi e idee. Anche per questa ragione ho utilizzato tecniche e materiali tradizionali per costruire una dimensione archeologica “domestica” in cui potersi calare e specchiare alla ricerca di quegli archetipi che, come sostenevano C. G. Jung e il fisico W. Pauli, riemergono continuamente nella nostra vita.
Parlavo prima dei due anni di gestazione del lavoro trascorsi esplorando siti archeologici, intervistando persone conosciute e non, leggendo e studiando. Successivamente la realizzazione della installazione è avvenuta tra il mio studio di Parigi, il castello di Civitella Ranieri che mi ha ospitato in qualità di fellow e lo stabilimento produttivo dell’azienda Cotto Etrusco in Umbria.


L'opera The density of the transparent wind è il progetto sviluppato per Documenta 14. Un’opera sonora dedicata al mare, in particolare a quello siciliano; mi può raccontare il ruolo dell'opera? di come prende forma e come si colloca all'interno della sua ricerca artistica?
L’interesse per l’ambiente, l’agricoltura, la cucina ha sempre fatto parte delle mie riflessioni trasferendosi quindi anche nella pratica artistica. Già da giovanissimo ero iscritto ad Arcigola, poi divenuta Slowfood. Ci riunivamo per sostenere il lavoro dei piccoli produttori agricoli locali nell’intento di comprendere e diffondere l’importanza di tutelare le biodiversità, le particolarità delle produzioni territoriali e il lavoro contadino, nel momento stesso in cui la globalizzazione crescente marginalizzava questo mondo estremamente fragile. Ho fatto questa premessa per dire quanto l’attenzione verso l’agricoltura intesa come uno dei punti di contatto più stretti tra l’uomo e la natura sia importante nella mia ricerca che guarda alle evoluzioni dell’individuo e della società secondo un principio di continuità tra passato, presente e futuro.
Allo stesso modo l’attenzione, di cui ho parlato anche prima, verso le vicende storiche e attuali del Mediterraneo e in particolare la sua dimensione politica e socio-culturale costituisce nella mia ricerca uno degli aspetti di maggiore impegno.
Il lavoro sonoro The Density of the Trasparent Wind, realizzato su commissione di Documenta14 per le mostre di Kassel e Atene, è stato registrato su un peschereccio che naviga nel Mediterraneo partendo dalle coste siciliane. I dialoghi e la vita di pescatori siciliani, egiziani e tunisini si intrecciano con i suoni della natura e i rumori meccanici ed elettronici del peschereccio, conformemente alla tradizione millenaria del Mediterraneo che testimonia come culture e storie diverse possano convivere in modo assolutamente armonico secondo le leggi dettate dalla natura, antitetiche a quelle tecnocratiche spesso troppo divisive. Come accennavo, in quest’opera i suoni del vento e del mare, dei motori, degli strumenti tecnologici si fondono con i dialoghi dell’equipaggio in forma ritmica e corale sottintendendo a un mondo alternativo rispetto a quello segnato dai drammi e dalle criticità che contraddistinguono l’attualità del mare di mezzo.

Al MAN di Nuovo ha aperto una sua personale che unisce i due lavori citati in precedenza, come nasce questa mostra?
L’aver recuperato per questa mostra al MAN l’installazione sonora di Documenta 14 coniugandola a un lavoro scultoreo che utilizza come materie prime la terra, l’argilla, la paglia e il sole vuole rinviare a un universo cosmico, di cui mi sento partecipe, attraverso una nuova esperienza in cui un lavoro precedente assume nuova veste dialogando con una nuova opera. La ricerca di una simmetria tra medium estremamente diversi è volta anche a stabilire un rapporto sensoriale e interattivo con il pubblico in cui la materia svolge un ruolo essenziale.
La mostra include poi altre due opere: una nuova installazione del ciclo Janas Code in cui introduco l’aspetto ludico in associazione alle considerazioni già fatte sui linguaggi e infine l’altalena Life Swing che dondolando il libro La questione sarda di Antonio Gramsci interroga sulle evoluzioni irrisolte delle questioni di fondo del mediterraneo moderno, che rimangono attuali in un arco temporale oscillante tra passato, presente e futuro.
Queste mie riflessioni sono esenti da qualsivoglia sentimento nostalgico, anzi esse mirano a stimolare un confronto tra i differenti aspetti della società attuale. Ciò vale anche per la scelta di determinati materiali come nel caso della terra cruda, materiale arcaico per eccellenza non solo nell’area mediterranea, tornata di grande attualità nelle nuove tecnologie di bioedilizia e che per me rappresenta un paradigma di come la storia possa essere continuamente rivisitata e attualizzata.

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