domenica 8 maggio 2016

interview with Davide Allieri

 Davide Allieri, classe 1982, è artista italiano che lavorsa con le immagini, attraverso un processo creativo che coinvolge differenti forme espressive nelle sue installazioni. I lavori indagano sull'immagini e sui rapporti che si creano nella sua costruzione e nel processo sperimentale; la produzione artistica di Davide Allieri riesce ad impressionare e a lasciare il segno inaspettatamente e con sottigliezza a chi si sofferma, anche solo un istante, di fronte alle sue opere. Di seguito vi propongo l'intervista con l'artista.


Chi è Davide Allieri? quel'è il percorso che ti ha portato a definirti artista? 
Il percorso che mi ha portato qui in realtà è stato molto classico. Ho frequentato il Liceo Artistico a Bergamo e poi l'Accademia di Belle Arti di Brera. In realtà la mia visione è presente fin da bambino. Mi piace raccontare sempre un episodio: avevo circa 6-7 anni e vivevo in un appartamento al secondo piano con la mia famiglia. Ricordo avevamo un salotto grande, aperto, che si collegava con la sala da pranzo. Ricordo che i miei genitori lavoravano molto e mi lasciavano durante il giorno con mia nonna; lei dopo la pausa pranzo si addormentava per un paio di ore ed io mi annoiavo a morte così iniziai a disegnare dietro i mobili appoggiati al muro del salotto; spostavo poltrone, credenze, tavolini e riproducevo le mie fantasie con pastelli e pennarelli perfettamente stando nei perimetri dei mobili quando erano appoggiati alla parete, nascondendo quindi i disegni esattamente dietro le forme e i perimetri dati dai mobili. Li potevo ammirare solo io, era il mio segreto. Poi un giorno, quando mio padre decise di pitturare tutta la casa, purtroppo scoprì i miei disegni e si incazzò a morte perché eravamo in affitto e dovette cancellare tutto. Beh lì ho capito che avrei voluto fare l'artista e forse anche i miei genitori lo capirono.

Nei tuoi lavori utilizzi differenti forme espressive dando vita ad installazioni attraverso una sperimentazione dell'immagine; come nasce questo processo? 
Mi piace non avere limiti espressivi e quindi sperimento molti linguaggi. Seguendo la natura diversa di ogni progetto penso al miglior modo di realizzazione. L'installazione è il filo conduttore, anche trattandosi di foto, video o disegno l'obiettivo finale è comunque di cercare il “lato scultoreo” in ognuno di essi. Al tempo stesso l'immagine è comunque presente in ogni installazione; avendo avuto una forte educazione classica e storica dell'arte, la pittura è presente sempre dentro di me e anche trattandosi di installazione o di scultura l'immagine che si forma nel mio occhio parte sempre da una precisa visione. Un paesaggio di elementi diciamo che si formalizza in sculturainstallazione.

 Il pieno e il vuoto, il bianco e il nero, sono gli opposti che troviamo spesso nei tuoi lavori come in Cubic Meters of Nothing. Puoi parlarmi di questa serie e cosa rappresenta? 
La serie sui display-teche vuote è nata da varie esigenze. In questo contemporaneo, dove tutto è bombardamento di immagini, dove abbiamo un surplus di ogni cosa, dove tutto è già stato fatto, rifatto e ricostruito di nuovo mi interessava offrire un processo contrario. In negativo se vogliamo. Un processo di decostruzione dell'immagine piuttosto che di costruzione. Quindi una volontà mia di omettere piuttosto che di immettere. Da questa “noia” verso il visibile, il già visto e l'iper visto nasce la mia volontà di tabula rasa, di “intervallo perduto”. Un contenitore vuoto (che può essere una teca, un piedistallo, un billboard o più in generale un supporto) suggerisce una situazione di attesa scandita da due momenti possibili: uno antecedente, nella quale si “attende” l'inserimento di qualcosa; mentre l'altro seguente, nel momento in cui è stato appena rimosso qualcosa. In questa visione tra un “prima” e un “dopo” che non conosceremo mai, una teca vuota si colloca nel mezzo di due poli e di due momenti, in un frangente in “potentia” di un possibile o impossibile agire. Questo “vuoto” rappresentato stimola a pensare e a far si che dentro me o nello spettatore nascano degli interrogativi. Cosa c'era prima? Cosa rappresenta questo vuoto? Questo vuoto è dentro di noi? E' fuori da noi? Siamo una società senza contenuto? Domande che vorrei portare uno spettatore a porsi difronte al mio lavoro.

Con UNTIL THE END OF THE WORLD (ELLIPSE-POINT-LINE), indaghi il ruolo della manifestazioni atmosferiche, in BEAUTIFUL PEOPLE dialoghi con il passato e le sculture classiche. Apparentemente lavori differenti ma secondo me accomunati dalla storia e dalla consapevolezza dell'essere umano di non poter controllare i fenomeno e del non poter dimenticare il passato. Che ruolo hanno questi due lavori all'interno della tua produzione?
La mia visione sul passato, sulla storia è legata ad una mia volontà di classicità. La mia ambizione è
di lavorare su “tematiche” eterne, non mi interessa essere “attuale” in questi termini, bensì essere un “classico”. Il classico è eterno, è ciò che ci ispira, è inattaccabile, è sempre contemporaneo e vive per sempre. Io ambisco ad un lavoro che possa durare, che possa attraversare i tempi senza esaurirsi mai, senza essere di tendenza. La serie “Until the End of the World” parla di fenomeni atmosferici anomali. Nella mia visione di vuoto, la “fine” è la protagonista assoluta: lo dimostrano i calchi di gesso in negativo di porzioni architettoniche che mostro come “rovine” di una civiltà passatapresente-futura oppure i supporti “mancanti” di contenuto. Anche nel progetto sui fenomeni atmosferici un senso di “fine” imminente è presente. Quindi aurore boreali, pianeti in avvicinamento, eclissi, comete, raggi luminosi, arcobaleni bianchi, sono tutti elementi evocativi che alludono ad una sorta di apocalisse prossima.

 

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